Intelligenza creativa

“Dalla preistoria in poi, gli individui provvisti di un talento eccezionale hanno inevitabilmente dovuto pagare altissimi prezzi esistenziali. Poiché da sempre la società diffida del “diverso”, anche quando ne ammira le qualità intellettuali e le capacità creative.” ( F. Parenti - Atlante dei complessi).

E’ difficile definire l’intelligenza, poiché si corre il rischio di sottolineare solo certe sue componenti, trascurandone altre. L’intelligenza non è una dote unica, ma deriva dalla confluenza di varie capacità mentali, che si sviluppano dall’incontro fra un substrato ereditario e gli stimoli dell’ambiente.
Essa si esprime soprattutto in tre funzioni fondamentali: apprendere, valutare criticamente quanto si è appreso e trovare soluzioni nuove, ossia inventare. La tendenza ad utilizzare una valutazione numerica e globale, come quella che si ricava dai freddi e impietosi test di livello, per stabilire l’eventuale esistenza di una superdotazione intellettuale, è da considerarsi svilente e poco attendibile.

Ne fanno le spese proprio i superdotati creativi, la cui attitudine all’invenzione li porta spesso a trascurare o a smentire le verità o le pseudo verità convenzionali. Sono appunto i creativi a soffrire di più per le loro doti, che non sono riconosciute o addirittura mettono in crisi insegnanti e psicologi frettolosi.
Si può definire “complesso del superdotato” la sofferenza profonda che nasce dal sentirsi intellettualmente diversi per una superiorità cosciente o inavvertita. La psiche umana non sopporta quasi mai con inerzia un fattore d’angoscia, tenta anzi di superarlo o di aggirarlo con degli artifici di compenso. Alcuni di questi sono positivi, altri negativi sino alla patologia o alla dissocialità. Di seguito saranno illustrati i più significativi che riguarda appunto il tema della superdotazione. Può sembrare paradossale che un individuo che ha “qualcosa in più”, come il superdotato, sviluppi un complesso d’inferiorità. Eppure accade, a grandi linee, secondo due schemi di autosvalutazione.

A volte l’insicurezza prende corpo proprio nel settore dell’intelligenza. In alcuni casi, il soggetto è consapevole delle sue doti, ma considera rischioso manifestarle, In altri casi i giudizi negativi dell’ambiente hanno effetti più gravi e possono indurre un’intima e sofferta convinzione di non valere. Il secondo schema di autosvalutazione del superdotato non riguarda il settore dell’intelligenza, ma i rapporti interpersonali.
Si delinea allora la figura patetica del “primo della classe”, ossia di un ragazzo gratificato negli studi, ma privo di spontaneità nell’agire comune e soprattutto nelle situazioni di gioco, divertimento e nelle attività sportive. Il riconoscimento intellettuale c’è, ma è pagato a caro prezzo, con un’impressione frustrata di isolamento, destinata a incidere negativamente, più tardi, anche nella vita amorosa.
Se un bambino o un ragazzo si differenzia, nel profitto e nel comportamento, dalle prestazioni medie, occorre approfondire con cura e competenza le motivazioni reali della sua diversità. Le facoltà di medicina e di psicologia licenziano schiere di specialisti che le strutture pubbliche non utilizzano.

Se la psicologia e la psichiatria entrassero nella scuola con un numero di operatori sufficiente per effettuare accertamenti “centrati sul caso” ( e non soltanto per offrire una superficiale consulenza di gruppo), molti falsi ritardati psichici potrebbero essere indirizzati lungo una linea psicopedagogica a loro più congeniale. Per quanto riguarda in particolare i superdotati creativi, le cui sofferenze sono certamente evidenti, occorrono, insegnanti addestrati a valutare e a stimolare anche al di fuori delle formule standardizzate, che sono certo rassicuranti per il loro automatismo applicativo, ma sono anche fonti di troppi errori e di imprevedibili conseguenze.

La società ha bisogno dei superdotati e della loro produzione creativa: i farmaci che ci salvano dalle malattie e dalla morte, le invenzioni che facilitano o gratificano la nostra vita, i valori estetici ed emotivi delle opere d’arte scaturiscono tutti dalla superdotazione.
Ma gli uomini di genio servono alla collettività solo se sono armonicamente integrati. Può accadere che individui eccezionali, se frustrati o al contrario spinti verso un eccesso di competizione, sviluppino un complesso di superiorità che li rende degli emarginati, se pure di élite, e talvolta induce fermenti di pericolosità. Per questo l’operazione formativa di chi vale di più dovrebbe essere esente da esasperazioni e curare, assieme allo sviluppo della conoscenza e delle capacità, l’inserimento dei soggetti in rapporti interpersonali equilibrati a ogni livello. Alfred Adler, con il concetto di divisione del lavoro, ha tracciato il modello ideale di una collettività umana formata da individui psichicamente non sovrapponibili, disposti a cooperare e a compartecipare emotivamente, usando al meglio le proprie specifiche attitudini.

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