Gentile Rosanna,
la ringrazio per aver condiviso con tanta sincerità la situazione di suo figlio e il vostro vissuto familiare. È evidente quanto lei, come genitore, sia attenta e coinvolta nella sua sofferenza, e questo è già un segnale importante di cura e presenza.
Dalle sue parole emergono alcune dinamiche che meritano attenzione. Da un lato, suo figlio sembra essere un ragazzo con risorse – ha sempre superato l’anno scolastico, ha lavorato con costanza durante l’estate, si confronta con le sue emozioni, pur con fatica – dall’altro, sembra vivere la scuola come un ambiente profondamente ansiogeno, percepito forse più come minaccia che come opportunità. Questo contrasto può generare un senso di frustrazione, impotenza e rabbia, che come lei descrive si manifesta in momenti di crisi anche intense.
In questi casi, più che concentrarsi esclusivamente sul “come arrivare alla fine della scuola”, può essere utile provare a spostare lo sguardo su cosa sta comunicando suo figlio attraverso questo malessere. Non si tratta solo di uno “studente che non ce la fa”, ma di un giovane che sembra trovarsi in una fase delicata di crescita, in cui le scelte iniziano ad avere un peso simbolico importante: continuare per dovere o mollare e sentirsi un fallito, come lui stesso dice. È una dicotomia che parla non solo di scuola, ma anche di identità, di autonomia, di senso di sé.
A volte, la difficoltà non sta tanto nello “studio” in sé, quanto nella pressione di dover aderire a un’idea di successo o di normalità, spesso idealizzata o sentita come imposta dall’esterno. È in questo spazio che spesso il lavoro psicoanalitico può essere utile: non per “aggiustare” un ragazzo che si arrabbia o che rifiuta di studiare, ma per creare uno spazio in cui lui possa provare a capire cosa sta davvero cercando di dire, a sé stesso e agli altri.
Capisco che per ora non voglia farsi aiutare, e questo è un aspetto da accogliere senza forzature. Tuttavia, a volte è proprio il genitore a poter iniziare un percorso di ascolto, per meglio comprendere cosa succede dentro la relazione, quali ruoli si stanno attivando, come si può sostenere il figlio senza farsi travolgere dalle sue emozioni o dal desiderio (legittimo) di salvarlo dalla sofferenza.
Le suggerisco di non restare sola in questo compito. Se può essere utile potrei affiancarla in questo momento e aiutarla a ritrovare un margine di respiro e fiducia.
La scuola, in quanto istituzione, non può sempre rispondere ai bisogni emotivi di chi la frequenta. Ma un adulto che ascolta con attenzione, senza giudizio, può fare la differenza. E questo vale tanto per suo figlio quanto per lei.
Resto a disposizione,
un caro saluto.