Il difficile compito di essere genitori

Famiglie a funzionamento introiettivo vs proiettivo
Secondo Meltzer e Harris l’organizzazione mentale della famiglia può essere caratterizzata sulla base di due poli: da una parte vi sono le famiglie che funzionano prevalentemente sulla base del processo di introiezione, quelle che riescono ad elaborare al proprio interno la sofferenza, dall’altra vi sono famiglie nelle quali predomina il meccanismo della proiezione, ovvero non riuscendo ad elaborare la sofferenza cercano di metterla fuori.

Le prime hanno un funzionamento più sano e maturo, mentre le seconde funzionano in modo più patologico e primitivo. La famiglia che funziona prevalentemente secondo le funzioni introiettive tende al contenimento. Le principali funzioni introiettive sono: anzitutto il pensiero, poi generare amore, infondere speranza, contenere la sofferenza.

Queste funzioni sono in grado di essere supportare dalla coppia genitoriale, cosicché per esempio entrambi i genitori sanno elaborare la sofferenza connessa alla crescita dei figli. Sono famiglie ove la madre è capace di contenere le angosce che il bambino proietta dentro di lei, ne sopporta l’impatto, e a sua volta essa è contenuta dal padre; padre che pone un limite all’evacuazione dei contenuti mentali. Queste sono famiglie integrate nella vita della società. Le famiglie che funzionano prevalentemente secondo le funzioni proiettive tendono ad espellere ciò che è vissuto come angoscioso. Le principali funzioni proiettive sono: suscitare odio, seminare scoraggiamento e disperazione, creare confusione e menzogne.

In questo in tipo di organizzazione familiare tende a dominare un membro della coppia genitoriale, possono così darsi diverse modalità. Nella famiglia patriarcale domina una figura paterna aggressiva e grandiosa, in quest’atmosfera tirannica figli maschi sono sottomessi al padre, e nei confronti delle figlie femmine vi è un attaccamento endogamico.

Nella famiglia matriarcale a dominare è la madre, generalmente perché la figura paterna è carente o assente; in essa prevale una sorta di iperprotezione esercitata dalla madre, salvo poi, quando la sofferenza interna alla famiglia raggiunge livelli intollerabili, rovesciarsi in una completa delega espulsiva verso l’esterno di ogni responsabilità (per es. affidamento alle diverse istituzioni sociali). Ma all’interno delle modalità di funzionamento proiettivo, gli autori evidenziano altre possibilità: la famiglia-casa-delle-bambole e la famiglia-banda.

La famiglia famiglia-casa-delle-bambole è una caricatura della famiglia sana, introiettiva: si fa finta che le cose vadano sempre bene ma in realtà vi domina la censura; tale sistema famiglia si regge appiattendosi, aderendo passivamente e conformisticamente al modello proposto dalla società.

La famiglia-banda rappresenta la versione più patologica di un sistema familiare e trova la sua origine dalla patologia dei genitori dove ciascuno di essi ripete, riproduce nel presente, le proprie identificazioni alienate; in questo sistema familiare i ruoli di ciascuno sono recitati e l’amore è trasformato in seduttività e manipolazione; le tendenze devianti di tale famiglia tendono a isolarla dalla società. Il figlio come luogo delle proiezioni genitoriali Facilmente il bambino all’interno della famiglia diviene il ricettacolo delle proiezioni dei genitori. Per proiezione possiamo semplicemente intendere quel meccanismo psichico che mira a esternalizzare, ad attribuire all’altro qualcosa che riguarda se stessi. Di per se stesso è un processo normale, tuttavia può acquisire caratteristiche patologiche.

La clinica mostra che le proiezioni sul bambino possono essere di due tipi principali, a seconda della prevalenza di uno dei poli della scissione. Da una parte il genitore può proiettare sul minore le proprie ambizioni frustrate, aspetti idealizzati del Sé o desideri incapaci di accedere alla castrazione. Relativamente a questo versante: il caso di Matteo, di 10 anni, che come molti bambini della sua età sta a scuola dalle 8 del mattino sino alle 4 del pomeriggio, ma in più Matteo il lunedì va a calcio, il mercoledì fa pianoforte e il venerdì segue ripetizioni di inglese “americano”, come ci tiene a sottolineare la madre. Il padre lo descrive come un atletico calciatore di gran talento, la madre mi ripete che a scuola ha sempre voti molto alti. Matteo soffre di enuresi da molto tempo, negli ultimi due anni sempre più frequentemente.

Anche attraverso vari disegni, Matteo comunica che egli si sente in dovere di corrispondere a standard interni particolarmente soverchianti. In questo caso si può cogliere un segno della contemporaneità: il principio di prestazione, con la sua controparte: l’intolleranza del fallimento. Un’altra consueta figura che s’inscrive in questa dinamica è quella del “figlio dell’imprenditore o del professionista”. Sempre su questo versante porrei quel meccanismo di generalizzazione, o più correttamente di identificazioni proiettive, che porta a non vedere differenze fra sé e il figlio. Dal un punto di vista del sociale qui a farla da padrona è la tendenza che spinge all’omologazione.

È il caso della figlia adolescente vista come pari, come simile alla madre, per esempio. Abbiamo così la mamma di Chiara che orgogliosamente afferma: “siamo amiche, ci diciamo tutto”. Chiara è una ragazza anoressica di 17 anni. La signora ha avuto Chiara molto giovane, a 20 anni; il compagno si è presto dileguato e lei l’ha allevata da sola. Anche in ragione di questo limitato scarto d’età, al primo colloquio sia io che la mia collega facevamo quasi fatica a badare al fatto che si trattava di un madre con una figlia, per l’estrema somiglianza somatica, dell’abbigliamento casual e del trucco ci apparivano più sorelle.

In questo gioco incrociato di identificazioni, dove non si capiva bene dove finisse una e iniziasse l’altra, i problema è nato quando ad un certo punto veramente la figlia ha iniziato a fare come la madre: essenzialmente quando ha cominciato ad amoreggiare coi ragazzi, ed ha iniziato a star troppo tempo fuori casa, lontano da lei. I figli è necessario che sentano la differenza generazionale e che si rapportino ai genitori/e non come pari.

I figli necessitano di genitori che sappiamo sopportare il conflitto, che siano cioè in grado di sostenere il “no!”, anziché rifugiarsi in una atemporalità collusiva. Dall’altra parte il genitore può proiettare sul minore aspetti del Sé indesiderati, denigrati, odiati, e questo porta frequentemente a percepire il figlio come danneggiato.

Questo potrebbe essere il caso di Marika, la cui mamma, insegnante, mi riferisce che la bambina “ha un disturbi dell’apprendimento, è dislessica e disgrafica”. La bambina in consultazione porterà ben altre difficoltà: quando si disegna si rappresenta solo con la testa: si percepisce unicamente come un s-oggetto non intelligente.

Che il genitore proietti parti buone o cattive del Sé, il pericolo è che si crei una pericolosa collusione fra genitore e figlio: la stabilità del genitore dipende dalla possibilità di mantenere la proiezione, da parte del figlio il mantenere l’esternalizzazione dei genitori gli consente di continuare ad avere il loro affetto e la loro vicinanza, conservando la convinzione onnipotente di essere indispensabile per loro. In simili casi, lo psicoterapeuta aiuterà il minore a sgravarsi dal peso di tali identificazioni e al contempo aiuterà i genitori a considerare il figlio nella sua soggettività e autonomia, cercando anche di riconoscere e nominare le proiezioni immaginarie cogliendone la funzione che assolvono o hanno assolto per loro.

Il desiderio della madre
Frequentemente il bambino è il sintomo della famiglia, nel senso che diviene il paziente designato a rappresentare un malessere familiare. Spesso il sintomo del bambino è una risposta (inconscia) alle problematiche della coppia genitoriale. Una situazione che si osserva frequentemente nella clinica è quando il bambino e la madre fanno coppia, e il padre o è escluso o è carente nelle sue funzioni. Antonella ha 5 anni, da più di tre anni dorme nel lettone con la mamma, il padre dorme nel lettino di Antonella. Ogni tanto il padre avanza dei tentativi di colonizzazione del suo posto presso la moglie, ma chissà come mai Antonella in questi casi si ritrova a dormire fra il papà e la mamma, funzionando da muro fra i genitori.

La madre di Antonella è sollecitata dalle maestre a consultare uno psicologo perché la figlia appare una “piagnucolona inconsolabile”. Ai colloqui la mamma di Antonella racconta che da quando è nata la figlia ha smesso di lavorare, ciò che mi colpisce è che la mamma presenta un’angoscia così intensa che è costretta a prendere ampie boccate d’aria, mentre mi spiega che a suo parere è del tutto normale che la bambina dorma con lei, però è preoccupata dal fatto che si è accorta che ha delle reazioni fuori controllo non appena qualcuno, che non sia lei, rimprovera Antonella: non appena qualcuno come la nonna, il suo compagno, o un’insegnante o un’altra mamma al parchetto fa un normale ammonimento alla bambina, lei è presa da una così grande angoscia che si sente costretta a scaricare impulsivamente con reazioni piuttosto aggressive verso l’ammonitore.

La madre desidera.
La madre di Antonella gode della figlia, fa uno con lei. Le fauci del coccodrillo si stanno pericolamene chiudendo. Se il desiderio della madre continuerà a chiudersi unicamente sulla figlia, la crescita di Antonella come soggetto singolare è messo in pericolo. La madre non è solo madre, è anche donna. È necessario che il desiderio della madre si orienti verso altri oggetti. La signora mi comunica che da tempo non ha più alcun interesse sentimentale o sessuale verso il marito. Il lavoro clinico con la non-tutta-madre di Antonella gli ha consentito di trovarsi un lavoro part-time, presso un’amica, all’inizio gli risultava molto faticoso ma adesso lavorare in quel negozio dove confeziona accessori con fiori recisi gli piace vieppiù e si sente anche po’ creativa. Se il desiderio della madre è preso da altrove il bambino può entrare nella dialettica della domanda e articolare un desiderio che sia proprio. Permettendo ad Antonella di sganciarsi dalla simbiosi, la bambina recentemente a scuola da minori segnali di sofferenza. In simili casi, la psicoterapia mira a promuovere la capacità dei genitori di apprezzare la separatezza del figlio.

Il padre carente.
La madre di Antonella non faceva entrare suo marito nel letto, “con lui è scomodo dormire”, diceva. Il padre lo ho incontrato nei colloqui congiunti genitoriali: è quel che si suol dire un brav’uomo, un bonaccione, un gran lavoratore, ecc… Rispetto alle inibizioni della figlia lui attua un profondo diniego, secondo lui “la bambina è solo un po’ timida, è come me… e sì la mamma forse è troppo apprensiva” dice. I padri sottovalutano la loro importanza per il figlio, ciò è legato a come la coppia considera il ruolo di ciascun genitore nella funzione e nella responsabilità genitoriale.

La funzione paterna consiste nel separare il figlio dalla madre. L’interdizione non è una minaccia, ma la condizione di esercizio del desiderio del figlio, la sua assunzione singolare. Affinché figlio o figlia che sia possano un domani desiderare, o freudianamente, investire nuovi oggetti, è necessario che il cortocircuito simbiotico madre-figlio si apra. La funzione paterna, che non è detto debba essere per forza esercitata dal padre reale, è ciò che introduce alla esperienza del limite, del ciò che è consentito e di ciò che non lo è, di ciò che è possibile avere e di ciò che non è possibile avere.

Questo è ciò che si chiama castrazione. Nel caso di Antonella avrebbe potuto consistere in un comandamento del tipo “Tu madre non giacerai con tuo figlia”. Un punto nodale è che il padre è introdotto dalla madre: da come la madre rende più o meno autorevole la parola del padre dipenderà l’efficacia della sua funzione. La castrazione è donata dal padre.

Un altro segno della nostra contemporaneità è ciò che viene riassunto con: questa è l’era della forclusione della castrazione e del predominio del discorso capitalista. Cosa significa? Significa che nell’epoca dell’apologia del consumo, dove tutti gli oggetti desiderabili sono virtualmente a portata di mano, i genitori fanno fatica a dire di no. La mamma di Mattia mi dice che il figlio la ossessiona con continue richieste di oggetti: prima vuole la cinture di CK, poi l’ultimo cellulare alla moda, poi quel tal paio di pantaloni, poi quello specifico gioco per la playstation, ecc… tutte cose che puntualmente i genitori accordano. Interrogati su questa dinamica i genitori di Mattia verbalizzano una esigenza sconosciuta alla generazioni precedenti: per sentirsi amabili dai figli dicono sì.

La nostra contemporaneità è contraddistinta dal: “Perché no?”.
Questo si collega al dato clinico secondo il quale oggi i sentimenti prevalenti fra adolescenti siano anzitutto la noia e la tristezza, tempo addietro emergevano maggiormente tematiche più edipiche come la colpa o la collera. Mattia presenta come principale messaggio del suo disagio il pavor nocturnus: praticamente quasi ogni notte si risveglia in preda agli incubi, il suo sogno d’angoscia ricorrente riguarda la sensazione di un ininterrotto cadere all’indietro. Qualcosa dell’esperienza vitale del limite, della barriera non funziona. In psicanalisi l’oggetto è sempre fallito, la mancanza-a-essere è strutturale al soggetto: mai nessun oggetto sarà in grado di completarmi, di appagarmi definitivamente. Terapia La richiesta di un consulto con lo psicologo è posta solitamente dai genitori, tuttavia vi possono essere indicazioni provenienti da agenti esterni (la scuola, il medico…).

La psicoterapia è un luogo, anzitutto mentale, dove il minore è promosso nella sua soggettività, nella sua differenza singolare, e allo stesso modo fornisce ai genitori uno spazio dove poter elaborare le proprie emozioni (tristezza, delusione, angoscia…).

Lo psicologo non è un sostituto genitoriale, tantomeno un rivale, ma qualcuno che aiuta a comprendere. Lo psicologo cerca di sviluppare una relazione collaborativa con i genitori, trasformando i genitori da passivi utenti di un servizio a partner partecipativi che assieme allo psicoterapeuta comprendono come possono aiutare il figlio. Frequentemente si tratta della trasformazione del paralizzante senso di colpa e di fallimento in una preoccupazione utilizzabile, costruttiva, verso la capacità di pensare, di riflettere. Vedete, come anche dagli esempi che ho citato, che il sintomo del bambino sia una metafora del soggetto. Il sintomo del bambino o dell’adolescente dice, comunica, qualcosa della sua soggettività, spesso in rapporto all’Altro.

Il suo sintomo si mette di traverso rispetto all’altro genitoriale, segnala all’altro che qualcosa non sta funzionando. Il sintomo del bambino è un appello all’altro. I sintomi del minore sono il suo linguaggio atto a comunicare che, nel peggiore dei casi, sta soffrendo, o nel migliore dei casi qualcosa non sta andando per il verso giusto. Il malessere espresso dal bambino nei modi più diversi (disturbi del sonno, dell’alimentazione, dell’evacuazione, del comportamento, di relazione con i coetanei, che coinvolgono il corpo, o che si manifestano con ansia, agitazione, paure, isolamento, difficoltà scolastiche…) attende che l’orecchio attendo dell’adulto colga il suo richiamo.


Bibliografia
Di Giovanni G., La crisi in età adolescente, Borla, Roma, 2010
Meltzer D. e Harris M., Il ruolo educativo della famiglia, Centro Scientifico Torinese, Torino, 1986
Novick K.K e Novick J., Il lavoro con i genitori, Franco Angeli, Milano, 2009
Pietropolli Charmet G., I nuovi adolescenti, Cortina, Milano, 2000
Ramaioli I., Dalla richiesta alla domanda, in: Voltolin et. al., Le domande dei genitori e figli, Franco Angeli, Milano, 1996
Recalcati M., Cosa resta del padre?, Cortina, Milano, 2011
Villa A., Il bambino adulterato, Franco Angeli, Milano, 2008.

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