Arrivai in questa città cinque anni fa e subito, tramite un'app di dating, incontrai questa ragazza stupenda. Io, in realtà, ero nel pieno di un momento di svolta della mia vita: ero proiettato a fare concorsi e proseguire la carriera. Incontrai lei, che però era la ragazza perfetta: era bellissima, dolce, limpida, aveva i miei stessi valori, la mia stessa etica...
Purtroppo, però, fin dall'inizio non sentii un innamoramento travolgente, come mi era capitato con la storia precedente, dove però ero stato insieme a una narcisista che mi aveva tradito. Forse ero scettico e malfidato, forse qualcosa dentro di me diceva che dovevo continuare e migliorare il mio lavoro, che di base non mi piaceva e non mi lasciava tranquillo.
Ho fallito il concorso e sono rimasto, continuando il rapporto con lei. Mi sentivo un po’ come se la stessi scegliendo per comfort zone, anche se razionalmente rappresentava tutto quello che avevo immaginato e voluto per me. Era perfetta, ma ero in ansia...
Abbiamo proseguito e, stranamente, anche a livello sessuale, nonostante fossimo all’inizio, non sentivo sensazioni travolgenti. Ero preso da mille dubbi, di non essere abbastanza. Mi dicevo che stavo paragonando questa ragazza alla precedente (storia finita tre anni prima), mentalmente. Seppur per due anni ho sempre pensato di voler fare i concorsi e cambiare, anche se poi, avendo lei, questo restava un desiderio inascoltato. Mai avrei messo a rischio il rapporto con lei, perché in fondo rappresentava tutto quello che avevo sempre voluto...
Ma allora perché non ero semplicemente felice? Perché, soprattutto all’inizio, pur essendo “perfetta” per me, non ero così innamorato da farmi cancellare tutto il resto? Qualsiasi suo difetto lo ingigantivo, mi sentivo ferito quando la percepivo meno generosa di me, meno riconoscente...
In più, nella mia testa era diventata la ragazza della mia vita: c’erano progetti, e tutto ciò aveva scatenato in me tanta ansia, che mi ha comunque sempre accompagnato nella vita. Avevo paura di perdere tutto, di perdere il lavoro. Abbiamo attraversato il periodo della guerra e dell’inflazione, facevamo difficoltà a trovare una casa...
Ho iniziato ad avere disturbi ossessivo-compulsivi. Avevo paura per la mia salute, paura di perdere il lavoro. Inoltre, lei a lavoro subiva mobbing e, nel frattempo, aveva litigato con la famiglia: il fratello l’aveva picchiata e lei era arrivata a denunciarlo. Io, essendo una persona altamente sensibile e introversa, con la mia empatia mi facevo carico di tutto, e tutto aumentava la mia ansia.
Lei, con la convivenza, si era anche allontanata dalla famiglia e aveva lasciato casa sua, dove era rimasto il fratello. Con la madre aveva un rapporto difficile, anche se ci vedevamo 2-3 volte al mese. Lei, da adolescente, era stata abbandonata dal padre, che si era rifatto una famiglia con l’amante, disinteressandosi dei figli. Lei quindi aveva da subito imparato a doversela cavare da sola!
Cercava, in quegli anni, serenità e leggerezza. A differenza mia, era più concentrata su se stessa, voleva godersi la convivenza e fuggire dai problemi. Io ero concentrato sul futuro, volevo risparmiare, non ero mai sereno. Si litigava spesso, anche perché io la spingevo a risolvere i problemi con la famiglia, mentre lei aveva un approccio più delicato, di chi accetta che le persone non possono cambiare.
Nel frattempo, però, io non ero sereno, mai tranquillo. Ci sono state tante crisi, ma negli ultimi anni io ero leggermente migliorato. Eravamo arrivati a fare una proposta di acquisto per una casa da comprare insieme. Nell’ultimo anno si litigava sempre per le stesse cose: io volevo spendere meno per uscite e cene, lei no. Erano mesi che la vedevo più insofferente, distaccata. Diceva sempre che aveva dubbi e rabbia repressa nei miei confronti. Spesso si teneva tutto dentro, io me ne accorgevo, e poi si litigava, nei tre anni e mezzo di convivenza, lei era andata in terapia per un anno. Nel frattempo ha cambiato lavoro, io l’ho sempre sostenuta in tutto e mi ringraziava per questo. Restavano però questi dubbi…
La tragedia è arrivata poco prima di prendere casa: ci saremmo staccati per la prima volta per due mesi, aspettando il rogito. Lei era tornata a vivere con la madre e il compagno, e io in un alloggio di servizio. Nel giro di due settimane mi comunica che non voleva più comprare casa, e fu così che mi lasciò… dopo cinque anni. Io 37 anni, lei 35.
Cerco in tutti i modi di evitarlo, ma lei non vuole più andare avanti. Dice che abbiamo trascinato una storia che non andava bene. Attualmente sono distrutto, perché non ho niente qui. È come se fosse una città nuova. In quegli anni ero completamente concentrato su di noi e sul futuro… ora sono perso. Non riesco a perdonarmi di aver rovinato la storia per la mia ansia generalizzata.
Avevo chiesto aiuto a uno psicologo, ma per le spese e per il mio scetticismo non avevo proseguito. Se l’avessi fatto, forse sarebbe andata diversamente. Sto provando a cercare di vederla, a chiederle un incontro, ma lei non vuole. Vorrei farle capire che semplicemente non stavo bene, non ero io! Stavo male!
Mi sento perso, perché ho 37 anni e sono passato dallo stare per creare una famiglia con una ragazza del posto che amavo, a non avere più niente. Ho paura di restare single, di essere sfasato e fuori tempo! Lei mi manca da morire, ma non si lascia raggiungere. Vorrei parlarle, ma non vuole, non risponde ai messaggi. Mi sento in colpa e non riesco a perdonarmi.
Mi sento come un clochard che aveva vinto la lotteria e ha perso il biglietto per incuria. Ho buttato l’occasione della vita. Lei, dal canto suo, aveva già posto fine a una storia di nove anni appena dopo quattro mesi di convivenza. Ma sono certo che, se non avessi esagerato, se la mia ansia non mi avesse provocato quei malesseri, saremmo andati avanti. Parlavamamo di figli e di vita insieme…
Mi sento sfinito. Ogni mattina è tragica. Passare dal tutto al nulla è una catastrofe. Lei mi manca da morire. Sono in forte depressione.