La sindrome della Crocerossina

Sicuramente a tutti quanti sarà capitato di avere a che fare con persone che non fanno altro che dispensare consigli ed attenzioni e che si mostrano disponibili, solerti e pronte ad andare in soccorso (spesso non richiesto) di tutti.

Sembra che vadano in giro con una maglietta con su scritto “lieto di esserti utile!”. Persone generose, vien da dire, ma anche un po’ assillanti.
Bontà e velata invadenza sono l’essenza della crocerossina. Non le si può negare la sua generosità, ma contemporaneamente si ha la netta percezione che sia opportuno prenderla a piccole dosi, altrimenti emerge subito la sensazione di sentirsi soffocati da lei, rendendo concreta, in questo modo, la sua più profonda paura: essere rifiutata.
È naturale prendersi cura delle persone che si amano, ma proteggerle fino al punto di trattarle come se fossero dei bambini è qualcosa che va al di là dell’amore, e che ha più a che fare con una dipendenza affettiva.
Tipicamente la crocerossina è di sesso femminile, anche se non mancano casi maschili.
È un fenomeno che ha in parte delle radici culturali. Alle donne viene insegnato fin dalla tenera età ad essere curiose ed intuitive, in modo da riuscire a comprendere che cosa passa per la mente degli altri ed individuare di conseguenza di chi è necessario prendersi cura e la modalità più idonea per farlo. Le donne sono cioè chiamate a saper soddisfare i bisogni degli altri, senza che sia necessario per questi chiedere.
Ma, al di là del fattore culturale, questa sindrome cela dietro di sé delle profonde motivazioni inconsce, che vanno affrontate quando diventa chiaro che pensare ai bisogni degli altri, prima che ai propri, è un modo per non affrontare le proprie insicurezze.


Che cosa si cela dietro questo altruismo incalzante?

Il retrogusto della sindrome da crocerossina, infatti, non è certo dolce e gratificante.
Individuata la “vittima” – tipicamente un uomo algido e concentrato esclusivamente su di sé - scatta dentro di lei un senso materno di protezione, un istinto da infermiera affettuosa che le offusca la vista e le annebbia la mente, anche se in altri ambiti ragionevole ed assennata, e che la porta ad ingannarsi sul fatto che lui cambierà grazie al suo amore.
Prendersi cura dell’altro è un bisogno fondamentale per la crocerossina, una spinta a cui non riesce a contrapporsi, tramite la quale essa cerca un varco per essere accettata e considerata.
Dispensa attenzioni nella speranza di poterle poi ricevere, per sentirsi di riflesso utile ed importante.
È evidente che alla base di tutto c’è un grande senso di insicurezza. La crocerossina è in fondo convinta (anche se spesso inconsapevolmente) di non avere alcuna qualità per cui l’altro possa essere interessato a lei, se non la sua sensibilità ai bisogni dell'altro e la sua disponibilità a correre in aiuto e, allora, per paura di essere abbandonata e rimanere sola, è prodiga di attenzioni.


Questo atteggiamento ha delle radici profonde, che si individuano nel rapporto con le figure di attaccamento in età infantile. Spesso si è verificata un’inversione di ruoli, per la quale, fin da molto piccola, la futura crocerossina ha imparato che i bisogni dei genitori, insicuri ed ansiosi, venivano prima dei suoi e che, per assicurarsi il loro affetto e la loro protezione, era necessario prendere in carico le loro necessità. Talvolta poi si sono verificati veri e propri abbandoni simbolici da parte dei genitori di fronte ai timidi e sporadici tentativi di pensare prima a sé. Additata come “cattiva” o “egoista”, ricattata con l'arma dell'indifferenza e del diniego, la futura crocerossina ha imparato che il prezzo per mostrarsi autenticamente è l'abbandono, troppo alto per non cedere al ricatto relazionale del “penserò prima a te che a me, così non mi lascerai”, terribile ma rassicurante.

Altre volte, invece, la spinta ad aiutare maschera la necessità di sentirsi “brave”… “più brave” degli altri e di controllare, in modo quasi onnipotente, la vita di tutti. Occuparsi degli altri, infatti, è una modalità relazionale che, mascherandosi da generosità, pone in realtà in una (precaria) posizione di forza («io vado bene, tu invece hai bisogno di me per andare bene»). Il bisogno è quello di sentirsi onnipotenti per non svelare, anche a se stessa, le proprie insicurezze.

Perché è meglio uscirne…


Talvolta è più facile prendersi cura dei problemi degli altri che dei propri, perché meno doloroso.
Ma non si può negare a se stessi che, nel tentativo di riempire la propria vita con quella degli altri, sovente quello che rimane è solo un senso di vuoto e di frustrazione, una velata tristezza che fa intuire in modo nitido di essere spesso sfruttati, e di avere la nostra parte di responsabilità in questo.
I rapporti interpersonali veri, sentimentali o amicali che siano, non possono prescindere da un mutuo scambio e da un disinteressato rispetto, che esulano dalla logica delle “attenzioni in prestito” e delle “ricompense obbligate”. Se si riesce ad entrare in quest’ottica e a fidarsi di se stessi e degli altri, si possono scoprire delle modalità relazionali più autentiche ed appaganti.


Per coloro che si sono riconosciuti nella descrizione della crocerossina può essere utile un percorso di riflessione su se stessi, che aiuti a portare alla luce l’origine profonda delle proprie angosce di solitudine e di abbandono, ad aumentare la consapevolezza e l’autostima, e a smantellare la percezione, ormai cronicizzata, per la quale gli altri non dimostrano amore se non si è disponibili e solerti.
Prendere coscienza del fatto che gli altri possono provare anche un amore sincero nei vostri confronti è un primo passo per fidarsi degli altri e per diminuire la paura dell’abbandono.

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Gentile dottoressa,
è possibile sviluppare questo tipo di atteggiamento a seguito della morte della madre in età precoce (13 anni)?
Come dire "non ho potuto salvare mia madre dalla malattia, riuscirò a salvare te".

il 09/01/2019

la Dott.ssa Alessia Dall'Argine ha risposto al tuo commento:
Sì Marcella, potrebbe succedere.
Così come potrebbe succedere che una bambina di 13 anni, durante e dopo la malattia e la morte della mamma si ritrovi a farsi carico della sofferenza del papà... e di eventuali fratellini più piccoli...

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