Non so chi sono

Madda

Scrivo per disperazione, non so più che fare. Sono in terapia con una psichiatra molto brava da anni ma che al momento mi sembra che mi sono bloccata. da circa un anno invece di andare avanti mi sento regredita. e solo l’anno scorso sono riuscita ad avere una “diagnosi”, (scrivo tra virgolette perché mi sembra che nessuno voglia dirmi cosa ho, perché sono così, perché mi sento così. in totale, sono dieci anni di terapia e psicofarmaci con diversi psichiatri) di disturbo evitante di personalità ed altri disturbi non specificati perché si sovrappongono o si confondono insomma, non mi è chiaro perché non sono troppo sveglia ma ho la sensazione che non mi si spieghi né dica niente in maniera chiara. Sono depressa da quando riesco a ricordare. Il mio cervello ha eliminato interi pezzi di vita, parecchi, perché la mia sola esistenza mi imbarazza tanto dall’essermi praticamente allenata a dimenticare, a dissociarmi da quello che ero fino al giorno prima, alla mezz’ora prima. Ho problemi di memoria e di rabbia, sono sempre frustrata e nervosa e mi sento stupida. Piango spesso, mi addormento la sera con la speranza di non svegliarmi. Maschero tutto questo con una vita normale, un lavoro, un compagno, abbiamo appena preso casa. In realtà prendo delle fissazioni a giro su un sacco di cose, a volte sane a volte decisamente no. Divento dipendente dalla cosa che mi svuota il cervello al momento. Ma al di là di questo, mi sento vuota, ho sempre più spesso degli attacchi di rabbia che sfociano in crisi di panico e strani movimenti che non controllo, uniti ad un bisogno fortissimo di farmi del male. In effetti me ne faccio da sempre, in modi molto discreti ma efficaci. Non mi trovo più, non so chi sono, cosa sto facendo, cosa mi succede. A 37 anni mi ritrovo ad aver vissuto una vita che non ricordo quasi per niente e mi sembra di non aver scelto io, di essere una persona che non riconosco allo specchio, non capisco niente. Sono confusa impaurita e frustrata, e ho paura di essere troppo grande per migliorare in qualche modo la mia situazione. Ho una classica famiglia con padre assente/lavoratore, madre narcisista con vari traumi, li aiuto economicamente e supporto più che posso ma non ricevo mai l’amore che vorrei indietro. mio fratello minore, unico complice, lo vedo due volte all’anno perché giustamente è scappato all’estero. Cosa che avrei voluto fare io ma non mi sono mai sentita in grado. Nessuno sa niente della mia condizione, non mi capiscono, mia madre ha detto a volte che la spavento. Non so che fare, vorrei cercare un altro aiuto ma non so a chi rivolgermi. Ho provato a morire almeno 3 volte, più o meno consapevolmente . Ieri ho avuto l’ultimo episodio di rabbia ed oggi mi sono svegliata così male da evitare il lavoro e non riesco ad alzarmi, mi sento esausta e sola.

6 risposte degli esperti per questa domanda

Buon pomeriggio Madda, sento nelle sue parole una sofferenza profonda che dura da tempo e purtroppo estenuanteche che sta portando avanti da anni con grande fatica. È comprensibile sentirsi bloccata e sfiduciata dopo tanti tentativi e percorsi, ma il blocco non significa che non ci siano più strade: anzi, spesso segnala che qualcosa nel modo in cui si sta lavorando ha bisogno di essere rivisto, integrato o affiancato ad altre risorse. Non credo sia tardi per stare meglio: i disturbi di personalità e le memorie traumatiche possono essere affrontati anche in età adulta con approcci mirati (ad esempio percorsi specifici sul trauma, sulla regolazione emotiva e sulla relazione terapeutica). Non è un fallimento cercare un secondo parere o un nuovo sguardo: può essere un atto di cura verso di sé. Il fatto che lei riesca a scrivere tutto questo, con questa lucidità, dice che dentro c’è ancora una parte che vuole vivere e capire. Si conceda di ascoltarla: cercare aiuto non è un’ulteriore prova della sua debolezza, ma una scelta per proteggere ciò che di vitale c’è in lei.
Le auguro di ritrovare il suo benessere.
Pasquale Saviano

Dott. Pasquale Saviano

Dott. Pasquale Saviano

Napoli

Il Dott. Pasquale Saviano offre supporto psicologico anche online

Ti leggo e sento il peso enorme che stai portando. Voglio innanzitutto dirti che il fatto stesso di scrivere queste parole, di dare voce a tutto questo dolore, richiede un coraggio incredibile. Non sei "poco sveglia" come dici – stai cercando di orientarti in una sofferenza molto complessa, e questo è profondamente umano.

Quello che descrivi parla di una ferita profonda che si è stratificata nel tempo: la dissociazione come protezione da un dolore insostenibile, la rabbia che è energia vitale intrappolata senza possibilità di espressione sana, i vuoti di memoria che sono il modo in cui la tua mente ha cercato di proteggerti da esperienze troppo dolorose. Il tuo cervello non ti ha tradito – ha fatto quello che poteva per farti sopravvivere.

È significativo che tu parli di una vita che "non hai scelto" e di non riconoscerti allo specchio. Quando cresciamo in contesti dove non c'è stato spazio per essere visti veramente, dove l'amore era condizionato o assente, a volte costruiamo una vita che risponde alle aspettative esterne piuttosto che ai nostri bisogni profondi. E il corpo, la mente, prima o poi presentano il conto.

La sensazione di "regressione" dopo anni di terapia può essere frustrante, ma a volte quello che sembra un passo indietro è in realtà il momento in cui finalmente tocchiamo il nucleo del dolore – ed è lì che può iniziare la vera guarigione. Non è che hai fallito: forse stai semplicemente arrivando a strati più profondi.

Riguardo alla diagnosi: capisco la tua frustrazione. Il disturbo evitante di personalità spesso si intreccia con traumi complessi, attaccamento disorganizzato, depressione cronica. Non è che ti nascondano qualcosa – è che la sofferenza umana raramente rientra in categorie nette. Ma hai diritto a chiarezza e a essere coinvolta attivamente nel tuo percorso terapeutico.

Quello che mi preoccupa di più, e voglio dirtelo con delicatezza ma chiarezza, sono i pensieri suicidi ricorrenti, l'autolesionismo e questi episodi di rabbia con movimenti involontari. Questi sono segnali che il tuo sistema nervoso è sovraccarico e che hai bisogno di un supporto più intensivo e specializzato, probabilmente con qualcuno che abbia esperienza specifica in trauma complesso.

Non hai 37 anni "troppo tardi" – hai 37 anni ed è il momento giusto. La neuroplasticità non ha scadenza. Ho visto persone trasformare profondamente la loro vita a 40, 50, 60 anni. Ma serve l'approccio giusto, un terapeuta con cui senti vera alleanza, e forse un lavoro più mirato sul trauma e sulla regolazione emotiva.

Alcune riflessioni pratiche:

  • Considera terapie evidence-based per il trauma complesso come EMDR, Schema Therapy, o terapie basate sulla mentalizzazione
  • Potrebbe essere utile un percorso che integri lavoro sul corpo (il trauma si incista nel sistema nervoso)
  • La farmacoterapia va bene, ma da sola raramente basta per questo tipo di sofferenza
  • Il fatto che nessuno sappia della tua condizione è un altro peso che porti da sola – meritavi di essere vista e contenuta

Tu non sei troppo complicata, troppo rotta, o troppo grande per guarire. Sei una persona che ha vissuto troppo dolore senza abbastanza supporto, e che continua a lottare nonostante tutto. Questo è resilienza, anche se non la senti così.

Dott. Umberto De Marco

Dott. Umberto De Marco

Napoli

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Buongiorno 

da quello che descrive è una sofferenza molto forte. Lei dice di essere in cura da una psichiatra e va bene ma provi ad affiancare anche una psicoterapia. 
In bocca a lupo 

Cordiali saluti 

Gentile signora,
comprendo e sento la sua grande sofferenza. Credo, innanzitutto, che lei dovrebbe parlare di questa situazione di blocco alla sua psichiatra con la quale è in cura, non ho capito bene se lei è in trattamento psicoterapeutico. Dalla situazione che lei presenta, parla di traumi che molto probabilmente hanno un ruolo molto importante anche nel suo Dolore esistenziale. Purtroppo più di questo non so pronunciarmi e, intanto, le faccio i miei più sentiti auguri 
Dottoressa Rossella Cecere

Dott.ssa Rossella Cecere

Dott.ssa Rossella Cecere

Napoli

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Buongiorno Madda, 

ciò che hai condiviso mi arriva dritto al cuore — e la prima cosa che desidero dirti è che non sei affatto sola in questo. La sofferenza, lo smarrimento e la spossatezza che esprimi sono tangibili, pienamente giustificabili e, purtroppo, fin troppo diffusi tra chi si porta dietro anni di complesse ferite interiori. Il solo fatto che tu riesca ad affrontare questi temi con tale chiarezza e apertura è una prova di straordinaria resilienza.

Dalle tue parole trapela una sofferenza radicata, sedimentata nel tempo, intessuta di ferite affettive, sensazioni di abbandono e sensi di colpa, e di un’immagine di te che percepisci a pezzi. Non sei affatto "incapace" né "senza speranza": ciò che racconti — dissociazione, problemi di memoria, sensazione di vuoto, sbalzi tra rabbia e frustrazione — è del tutto in linea con una mente che ha dovuto proteggersi a lungo da un dolore insostenibile. È come se una parte di te avesse imparato a mettersi in stand-by per resistere.

A volte, quando si toccano le corde più delicate del dolore (soprattutto nei disturbi della personalità e nei traumi che scavano dentro), la terapia può rallentare o dare l'impressione di non funzionare, ma non è detto che sia inutile. Non so se hai anche un supporto psicoterapeutico, ma in ogni caso potrebbe essere un momento di transizione in cui ti servono approcci diversi o un tipo di rapporto terapeutico più empatico, da sviluppare insieme alla psichiatra che ti sta già seguendo.

La sensazione di "non sapere chi sei" e di "non aver vissuto davvero" è un chiaro segnale di quanto tu ti senta distante da te stessa — ma questa distanza non è un insuccesso, bensì una strategia di sopravvivenza che ti ha consentito di arrivare fino a qui. La buona notizia, benché ora possa sembrare remota, è che le parti di te che si sono isolate possono essere ritrovate e integrate, con calma, grazie al sostegno adeguato.

Vorrei davvero insistere su un punto cruciale: hai condiviso pensieri veramente angoscianti riguardo alla morte e all'idea di farti del male. Per favore, non affrontare questa situazione da sola. 
Se ti sembra troppo difficile farlo da sola, prova a metterti in contatto con una persona di cui ti fidi ciecamente. In alternativa, puoi sempre chiamare il numero verde per il supporto psicologico gratuito, il 1522, o il Telefono Amico,troverai sempre qualcuno pronto ad ascoltarti, senza alcun pregiudizio.

Non è mai troppo tardi per stare meglio. Anche a 37 anni  o magari a 70,  il nostro cervello e la nostra mente hanno la capacità di evolvere.

Dott. Fabiano Foschini

Dott. Fabiano Foschini

Milano

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Ciao Madda,

quello che scrivi è molto forte e doloroso, e merita tutta l’attenzione e il rispetto possibile.

Da come ne parli si sente una grande stanchezza, ma anche il bisogno profondo di capire e di ritrovarti.

Quando per anni si convive con un dolore che non trova parole, può diventare difficile persino ricordare chi si è. La mente, per proteggersi, a volte “chiude delle stanze” — e ciò che resta è una sensazione di vuoto, di smarrimento, di estraneità da sé. Non è mancanza di forza o intelligenza: è il segno di una sofferenza che ha chiesto per troppo tempo di essere ascoltata da sola.

Il fatto che tu riesca a raccontare tutto questo, con tanta lucidità e sensibilità, dice che una parte di te c’è ancora, e sta chiedendo aiuto nel modo più chiaro possibile. È da lì che si può cominciare.

Può darsi che la terapia attuale abbia bisogno di essere ripensata — non per colpa di qualcuno, ma perché a volte le fasi cambiano, e serve uno spazio diverso, magari più centrato sulla relazione e sull’ascolto dell’esperienza viva, più che sulla diagnosi.

Ti invito però, prima di tutto, a non restare sola con queste sensazioni di disperazione e desiderio di farti del male. Se senti che il rischio è concreto, cerca subito un pronto soccorso o un servizio di emergenza nella tua zona. È un passo di cura, non di debolezza.

Da qui in avanti, il lavoro può essere proprio quello di ricostruire il contatto con te stessa, con la tua storia, con ciò che ancora può essere sentito e riconosciuto come “tuo”. Non si è mai “troppo grandi” per cambiare, ma serve un luogo in cui non sentirsi più soli in questo viaggio.

Nonostante la confusione e la fatica, hai già iniziato a fare qualcosa di importante: parlare. E a volte, è proprio da lì che comincia il cambiamento.

Può essere un buon momento per concederti uno spazio in cui non dover più “reggere tutto da sola”.