Le Città Invisibili

"L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio."

Ci serviamo del romanzo Le Città Invisibili (1972) di Italo Calvino per spiegare lo stato psicologico dell’essere umano.

Calvino parla di inferno dei viventi come di un qualcosa che non si riferisce al futuro ma al tempo presente. Potremmo interpretare le sue parole così: la vita dell’essere umano è un inferno. Cosa significa? Semplicemente che per l’essere umano non esiste un manuale di istruzioni che gli dice come comportarsi, cosa fare, cosa dire, cosa scegliere. Quella dell’essere umano è una condizione infernale nella misura in cui non sa cosa è meglio per se stesso.

Sia uomini che donne non sanno cosa vogliono, cosa li rende felici, cosa li appaga, cosa li soddisfa. Nonostante abbiano ricevuto una educazione e gli siano stati trasmessi dei principi, questi possono funzionare per direzionare la loro vita ma non per garantirgli che le scelte che fanno abbiano successo. Questa condizione riguarda tutti in egual misura. Tutti noi nella vita scommettiamo continuamente, facciamo o non facciamo delle scelte, senza sapere dove ci portano, se si rivelano fallimentari oppure no, eventualmente lo sappiamo sempre dopo.

Calvino parla dell’inferno come stato contingente, che appartiene ai viventi e che, in quanto tali, abitiamo tutti i giorni. L’autore sostiene che questo inferno lo creiamo noi stessi stando insieme. Come non ci sono istruzioni circa le scelte di vita, ci sono ancora meno istruzioni rispetto alle relazioni, sentimentali, amicali, familiari, lavorative. Qui la situazione si complica perché di fronte a noi abbiamo un altro che a sua volta abita il suo inferno, con desideri, aspettative, paure, angosce che lo riguardano da vicino.

Capirsi con l'altro è pressoché impossibile ed infatti ci si capisce raramente. Diciamo che più che la comprensione, l’incontro è dell’ordine della relazione con l’altro. L’altro non si comprende, non si capisce, rimane sempre enigmatico, tuttavia, in alcuni momenti si incontra. Che cosa si incontra? Il suo inferno. È un piccolo momento, temporaneo, che dura poco, però avviene. Andare d’accordo con l’altro significa incontrare il suo inferno, riconoscere la sua condizione infernale e prenderne atto. Il fatto che non sa quello che dice e non sa quello che fa, proprio come noi, e prenderne atto, accettarlo, riderci anche sopra.

Si è umani nella misura in cui si fallisce, ci si perde. Lì, ci si riconosce. È un incontro che si rinnova di continuo, non ce n’è mai uno che vale per sempre e questo fa sì che la relazione con quel particolare altro, duri, cresca, vada avanti nel tempo. E noi con essa. Nel momento in cui la relazione finisce, non ci si è più incontrati e riconosciuti sul piano dell’umanità ma, semmai, sono emerse delle pretese rispetto all’altro, delle colpe, delle recriminazioni.

È quando abbiamo accettato l’inferno, ne siamo diventati parte fino a non vederlo più, come dice Calvino. Cadendo preda di un dolore particolare, di una sofferenza, di un’angoscia, smettiamo di combattere il nostro inferno interiore, cediamo alla sua morsa e finiamo per diventare noi stessi quell’inferno così cominciamo a pretendere che l’altro ci ami, ci sia sempre; senza capire che quella pretesa ha ragioni profonde che vanno analizzate, combattute appunto, senza prestargli il fianco e riversarle sull’altro che semmai, è preso anche lui dalle sue questioni.

È questa la seconda modalità che indica Calvino per non soccombere all’inferno: lavorare su se stessi per capire che c’è un modo per resistere all’inferno. Mettendo a lavoro le nostre questioni possiamo riuscire a non cedere alle nostre paure, alle nostre angosce, bensì lavorarle, analizzarle, vederle da diverse angolazioni, riformularle e, di conseguenza, allentarne la presa che hanno su di noi. Potremmo anche scoprire di avere delle risorse che non credevamo di avere e rimanerne sopresi. Potremmo scoprire di avere la capacità di inventare delle nuove soluzioni per sopravvivere all’inferno.

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