Stalking e Omicidio Passionale

Questo è il primo di una serie di articoli che saranno da me dedicati alla fenomenologia della persecuzione psicologica.


Affronterò queste delicate tematiche da un punto di vista clinico, psicologico – giuridico, criminologico – clinico, psicologico – investigativo integrando il tutto con quello che è l’orientamento teorico clinico sistemico e psicodinamico, toccherò quindi quelli che sono gli aspetti intrapsichici senza trascurare però quelli che sono i fondamentali aspetti relazioni dei fenomeni che andrò ad analizzare integrando il tutto quando sarà necessario anche con quelli che sono gli apporti e i contributi della teoria e della clinica cognitivista.


Con questo articolo inizierò ad affrontare la complessa fenomenologia dello Stalking, cioè del comportamento molestante, assillante e continuativo che vede come protagonisti due attori principali: l’autore delle molestie, definito stalker, e la sua vittima.


Per quanto riguarda il presente contributo mi limiterò a degli accenni sullo stalking e sull’omicidio passionale che affronterò più in dettaglio in dei lavori successivi.


Invece introdurrò quella che è la genesi di questo comportamento deviante e della disfunzionalità della coppia che può portare a degli esiti nefasti che si possono conclamare anche nel cosiddetto omicidio passionale.


Farò dei riferimenti alla teoria dell’attaccamento ma anche questa sarà per il momento una sorta di introduzione preparatoria a successivi lavori che cercheranno di approfondirla vista la sua importanza nella eziopatogenesi di psicopatologie molto gravi e di altrettanto gravi comportamenti antisociali.


Il mio lavoro verterà e sarà finalizzato ad un tentativo di comprensione e non soltanto di mero giudizio sugli aspetti repressivi del fenomeno.


Con questo non voglio dire che, soprattutto come criminologo, non pensi che prima di tutto lo stalker non debba essere fermato, però ritengo, e in questo mi riferisco soprattutto allo stalker rifiutato, ma in generale a tutte le tipologie, che una volta fermato debba essere anche aiutato.


Il legislatore dovrebbe occuparsi di questa problematica di estrema attualità, perché il mio intervento, che idealmente ho intitolato così “ Legami, Stili di attaccamento e psicopatologia della relazione: dallo stalking al delitto passionale” vi parlerà anche dello scottante tema dell’omicidio passionale; infatti, purtroppo, in molte occasioni lo stalking è solo l’inizio di un lungo percorso che culminerà appunto nell’omicidio. Nel nostro paese il tasso di omicidi passionali è in effetti molto alto e il fenomeno è veramente preoccupante tanto da destare un certo allarme sociale.


Quindi mi occuperò di “amore”, di una forma particolare di amore, che, citando la famosa trasmissione di Rai Tre, potremmo per l’appunto definire “amore criminale”.


Comunque per quanto criminale di “amore” si tratta, quindi non dobbiamo stupirci se in qualche modo l’omicidio passionale è un omicidio particolarmente cruento. In genere l’autore uccide la vittima anche con trenta, quaranta pugnalate. Le persone rimangono inorridite, giustamente, ma purtroppo quando si parla di amore, si parla in molti casi anche di passione, appunto la definizione omicidio passionale, e quando c’è di mezzo la passione purtroppo si può degenerare anche in comportamenti così estremi.


Però, perché mi riferisco ai legami e agli stili di attaccamento e perché parlo di aiuto? Perché quando penso agli autori di questi crimini, per esempio Luca Delfino, l’omicida di Sansepolcro, ma anche i due rumeni che in breve successione temporale ultimamente hanno ucciso due connazionali a Bastardo e credo a Foligno con le quali intrattenevano da tempo un legame sentimentale, penso certamente a degli adulti ma non posso fare a meno di pensare che anche loro, nonostante l’efferatezza dei loro crimini, un tempo sono stati dei bambini, dei bambini con un estremo bisogno di legami di attaccamento solidi e affettivamente sani con le persone che a quel tempo si sono prese cura di loro. La tesi che sosterrò in questo mio intervento è che nei casi in cui questi legami di attaccamento nel passato sono stati disfunzionali questi poi pregiudicheranno la possibilità, una volta adulti, di stabilire delle relazioni sufficientemente sane ed equilibrate con il proprio partner.


Permettetemi soltanto una breve nota su che cosa si intende per attaccamento in quanto questa breve definizione magari renderà ancora più chiaro ciò che voglio intendere e le tesi che cercherò di argomentare nel corso del mio intervento:


per attaccamento si intende la “propensione innata a cercare la vicinanza protettiva di un membro della propria specie quando si è vulnerabili ai pericoli ambientali per fatica, dolore, impotenza o malattia” (Bowlby, 1969 cit. in http://www.maldamore.it/Teoria_dell_attaccamento_e_Stili_d_attaccamento.htm)


Permettetemi ora di tornare per un pò sull’omicidio passionale e di fare una breve considerazione. I mass media, molto spesso, di fronte a questi omicidi parlano di omicidi della follia, parlano di raptus, ma nel momento in cui ci troviamo di fronte ad un omicidio passionale, il raptus, non ha nulla a che fare con la dinamica omicidiaria.


Il raptus, invece, caratterizza il cosiddetto omicidio emotivo perché questo è per l’appunto un omicidio d’impeto che segue e reagisce ad un’improvvisa situazione che sconvolge colui o colei che compirà l’omicidio stesso. Per non lasciare nulla al caso vi propongo ora la definizione di raptus proposta da Wikipedia in http://it.wikipedia.org/wiki/Raptus:


“Il raptus è un improvviso impulso di forte intensità che può portare ad uno stato ansioso e/o alla momentanea perdita della capacità di intendere e di volere. Il raptus può spingere il soggetto ad effettuare gesti violenti od aggressivi, auto lesivi o lesivi verso altri. Vi è anche una forma di raptus cosiddetto “ansioso”. Si palesa con una breve ed intensa manifestazione di profonda ansia e può spingere il soggetto a gesti imprevedibili quali il suicidio o, più di rado, l’aggressione. Il raptus può essere riconosciuto, nell’ambito del diritto penale, come condizione di momentanea incapacità di intendere e volere (c.d. “vizio di mente”), e quindi come attenuante per la commissione di gravi reati”.


Quando si parla invece di passione si parla di un continuum, di un percorso, un percorso che è iniziato da molto lontano. E’ iniziato da molto lontano anche perché i soggetti che compiranno questi omicidi da piccoli molto probabilmente hanno fatto esperienza di legami di attaccamento che in qualche modo non sono riusciti, perché probabilmente disfunzionali, a trasmettergli quella fiducia, quella sicurezza in sé, su cui si dovrebbe fondare lo sviluppo dell’individuo e su cui si dovrebbe strutturare la sua personalità; questo perché probabilmente coloro che si dovevano prendere cura di questi bambini hanno stabilito con loro delle relazioni basate su dei legami di attaccamento caratterizzati da insicurezza e instabilità, caratteristiche che inevitabilmente sono state trasmesse a questi bambini che nel tempo iniziano a manifestare in molti casi anche una profonda angoscia da separazione.


Non mi dilungherò ora su quella che è la teoria dell’attaccamento di Bowlby più di quanto non sia necessario per le finalità che si prefigge questo mio intervento e non vi elencherò quindi quelle che sono tutte le categorizzazioni specifiche legate a questa teoria. Come ho anticipato all’inizio di questo articolo questo sarà oggetto di un lavoro successivo e più approfondito. Voglio soltanto dire e sottolineare con forza che, a differenza di chiunque di noi abbia avuto la fortuna di avere dei genitori sufficientemente buoni, i soggetti che invece fin da piccolissimi non hanno ricevuto le necessarie cure e la necessaria rassicurazione finalizzata ad acquietare quelle che sono le naturali paure ed angoscie che si trova a provare il neonato e il bambino molto piccolo, da grandi, se nel frattempo non intervengono eventi tali da riparare a quelle carenze, potrebbero vivere la relazione con il partner alla luce di quelle profonde ferite che li condizioneranno e li porteranno a sviluppare in certi casi anche delle psicopatologie molto gravi.


Tra queste patologie annoveriamo sicuramente dei gravi disturbi della sfera affettiva, ansia se non angoscia da separazione, problemi legati alla dipendenza e in certi casi anche il cosiddetto Disturbo Borderline di Personalità che un pò racchiude in sé tutti questi aspetti.


Chiariamoci sui termini per rendere comprensibile l’esposizione anche agli eventuali non addetti ai lavori che magari potrebbero leggere questo articolo. Che cosa si intende per Disturbo Borderline di Personalità?


In primis diciamo che per Borderline, termine derivato dalla lingua inglese, si intende letteralmente “al limite”, “marginale” e in psicopatologia va ad indicare un disturbo molto grave che si pone al confine tra la nevrosi e la psicosi.


Il disturbo borderline di personalità è definito nel Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali come una “modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’affettività con impulsività notevole, comparsa entro la prima età adulta e presente in vari contesti”.


La persona affetta da disturbo borderline di personalità prova difficoltà a stabilire delle relazioni interpersonali stabili; rispetto alle persone a loro più vicine passano dalla più completa idealizzazione alla svalutazione assoluta. Per lui le persone o sono tutte buone o tutte cattive. Anche sul piano emotivo non sono per niente equilibrati e alternano atteggiamenti rabbiosi ad atteggiamenti del tutto remissivi e accomodanti. C’è inoltre da dire che questa contraddittorietà caratterizza anche la relazione del soggetto affetto da disturbo borderline nei confronti di se stesso, passando da atteggiamenti di buona autostima ad atteggiamenti di assoluta svalutazione e mortificazione.


Queste persone, inoltre, manifestano anche degli importanti disturbi dell’identità: avvertono, cioè, un profondo senso di vuoto interiore e per sentire di esistere hanno costantemente bisogno di avere al proprio fianco qualcuno che li sorregga. Sentono in poche parole di non esistere senza qualcun altro, per cui tendono ad instaurare delle relazioni caratterizzate dalla più completa dipendenza. La persona di riferimento affettivo diventa per l’individuo che soffre di questo disturbo assolutamente vitale.


Di conseguenza di fronte alla possibilità di un abbandono la persona che soffre di disturbo borderline avverte un vero e proprio sentimento di annientamento, di catastrofe emotiva: la persona da lui amata da angelo che era si trasforma ai suoi occhi in un demonio.


Tutto questo lo può portare a scoppi di rabbia violenta, ira, ostilità e a mettere in atto comportamenti distruttivi per se stesso e per l’altro.


E’ evidente quanto tutto questo possa portare in certi casi anche all’omicidio passionale.


Ma torniamo per un attimo al nostro bambino e caliamoci alle origini della sua esistenza che inizia a pulsare in tutta la sua vitalità fin dalla fase prenatale.


Una fase dello sviluppo questa del tutto particolare e direi fondamentale. Infatti il mio lavoro partendo dal prima, partirà da quello che succede appunto in questa fase, addirittura prima della nascita, e come premesso in precedenza arriverà a quello che potrebbe succedere e molto spesso succede nel dopo stalking.


Permettetemi un breve inciso. Volevo anticiparvi che dedicherò uno o più dei lavori futuri ad illustrarvi quella che è l’importanza della vita prenatale e della psicologia prenatale che cerca di studiarla nei suoi aspetti emotivi, affettivi e relazionali.


Quello che voglio sostenere, in definitiva, è che, perché il futuro bambino possa crescere in maniera sana ed equilibrata, si devono creare delle condizioni ottimali fin dalla fase prenatale. Pensate infatti la differenza che passa tra una madre rifiutante che non ha accettato la gravidanza e una madre che fin da questa fase inizia a trasmettere al suo bambino amore ed accoglimento.


Lo psichiatra Ronald Laing sosteneva che fare un figlio è esercitare un potere capace addirittura di cambiare il mondo, però, continuava, bisogna essere coscienti delle proprie responsabilità e delle proprie possibilità creative che possono essere fonte di nuova armonia o di nuova disarmonia.


Renata Gaddini, psichiatra e psicoanalista e membro del Comitato Nazionale di Bioetica, sostiene in un suo articolo, che, la deprivazione affettiva ai danni di un bambino , porta a conseguenze gravi e importanti visto che è proprio dalla prima infanzia che si costruiscono le basi per lo sviluppo della personalità e dipende dalla qualità di queste basi che tipo di relazioni l’individuo ormai adulto stabilirà con la realtà esterna. Ma, aggiunge, è necessario che fin dalla fase prenatale il futuro nascituro possa fare esperienza e possa relazionarsi con un mondo circostante accogliente ed attento ai suoi bisogni. Possibili sentimenti negativi o eventuali traumi accanto a deprivazione affettiva e a mancanza di cure fisiche e psicologiche possono preparare nella mente del bambino un terreno fertile sul quale in futuro potrebbero nascere e crescere odio, desiderio di morte e di terrore.


Mi limiterei per ora a queste brevi considerazioni aggiungendo soltanto che la psicologia prenatale parla addirittura della fase del concepimento come di una fase fondamentale per la storia dell’individuo.


Nella mia esperienza clinica ho avuto modo di trovarmi di fronte a persone che in qualche modo non hanno offerto uno spazio mentale all’idea di un figlio, non lo hanno desiderato. Questo è fondamentale. Credo che sia pertanto necessaria un’educazione alla genitorialità che consenta ai giovani che si apprestano a vivere questa meravigliosa ma difficile avventura di prendere coscienza di quali responsabilità sono chiamati a farsi carico. L’educazione sessuale è sì importante ma è veramente limitata se a questa non si unisce anche una sensibilizzazione in questo senso. Questo lo ha sottolineato e sottoscritto anche un importante documento del Comitato Nazionale di Bioetica.


Ai nostri adolescenti non dovremmo insegnare soltanto quella che è la contraccezione ma quello che un giorno significherà essere genitori sufficientemente buoni come dice Winnicott.


Quindi, dicevo, mi sono trovato di fronte a persone che, o perché in stato alterato di coscienza, o perché comunque immaturi, si sono trovati ad aspettare un figlio senza che nemmeno loro sapessero come in realtà fosse accaduto, nell’incoscienza più completa.


Allora potete riflettere un attimo insieme a me su quello che può significare tutto questo. Perché in quelle situazioni molto spesso ci si trova di fronte a futuri genitori che da un punto di vista psicologico sono ancora figli a loro volta e non sono quindi in grado di accogliere i bisogni di accudimento fondamentali del neonato che non sono soltanto bisogni di accudimento fisico, ma sono soprattutto bisogni di accudimento psicologico.


Winnicott (1896-1971), eminente pediatra e psicoanalista infantile, parla di holding materna riferendosi alla capacità materna di fungere da contenitore delle angoscie del bambino.


L’holding è quindi la capacità di contenimento della madre sufficientemente buona, la quale sa istintivamente quando intervenire dando amore al bambino e quando invece mettersi da parte nel momento in cui il bambino non ha bisogno di lei.


Sostanzialmente, per madre sufficientemente buona, Winnicott intende quella madre che, istintivamente, possiede la capacità di accudire il bambino senza frustrarlo.


La madre sufficientemente buona possiede, inoltre, quella che Winnicott definisce preoccupazione materna primaria, uno stato psicologico fondamentale perché essa possa fornire le cure adeguate al suo bambino.


Tra le angoscie del bambino una delle più importanti come abbiamo già visto è l’angoscia di separazione, angoscia che la madre sufficientemente buona riesce a contenere. Questa capacità materna di contenimento permetterà al bambino di poter sperimentare la separazione in maniera non traumatica e di poter elaborare e digerire le ansie ad essa collegate.

 

Questo è anche il compito che noi psicoterapeuti, soprattutto noi psicoterapeuti ad orientamento psicoanalitico, siamo chiamati a svolgere con i nostri pazienti, perché noi in questo senso abbiamo e potremmo anche definirla così, una funzione riparativa.

 

Nel qui ed ora del setting psicoanalitico si riattualizzano “quelle antiche questioni rimaste irrisolte” e quelle conflittualità profonde possono in qualche modo essere rielaborate con lo psicoterapeuta stesso che in questo senso funge da genitorialità sufficientemente buona che in qualche modo quindi possa permettere all’individuo di poter superare e sanare le sue ferite profonde.

 

Se però queste esperienze riparative non avvengono, e molto spesso non avvengono, in questi casi ci troviamo di fronte ad individui che in qualche modo hanno un profondissimo bisogno di amore. Però per loro amare ed essere amati significa possedere completamente l’altro.

 

Non sanare questa carenza affettiva interiore significa in qualche modo da adulti proporre una relazione che cerca di ricreare quel’antica simbiosi con il materno che a quel tempo, in quell’antico tempo non è riuscita in qualche modo a sedare quell’angoscia abbandonica che si riproporrà nella relazione affettiva da adulti.

 

Queste persone vivono la relazione con una costante angoscia da separazione, in questo senso parlando di separazione intendo anche separazione psicologica.

 

Coloro che sono dotati di una buona autostima, di una buona sicurezza di sé riescono ad accettare che amare un altro significa accettare che sia lui a sceglierci, che sia lui a scegliere di stare con noi, ma che significa anche accettare che potrebbe anche scegliere di non starci.

 

Invece la richiesta che fa la persona che soffre di un disturbo dipendente, di un disturbo affettivo molto profondo è quella di una continua rassicurazione rispetto al terrore di poter perdere l’oggetto d’amore.

 

Questi soggetti, come ho già esposto più sopra, non riescono neppure ad immaginare che l’altro li possa lasciare: l’altro deve essere a loro completa disposizione e questo capirete che nel tempo provocherà un profondo disagio relazionale.

 

Questa è la cosiddetta coppia perversa, una coppia che si basa su dei copioni rigidi. Nel momento in cui l’altro ,diciamo, in qualche modo non accetterà più di recitare questo copione, allora salteranno gli schemi e la persona dipendente potrebbe impazzire, potrebbe impazzire in questo senso: non accetterà, vivrà quella possibilità abbandonica come qualcosa di assolutamente intollerabile. Per cui il rifiutato, che vivrà tra l’altro la cosa come assolutamente ingiusta e che per questo gli procurerà rabbia, comincerà quindi, e qui mi riaggancio alla relazione del dott. Salvadori, tutta una attività di comportamento molesto assillante e continuativo che nella sua finalità dovrebbe servire a riaggiustare la relazione ma che in realtà sortirà un effetto completamente opposto, cioè farà ancora di più allontanare la persona desiderata.

 

Però il problema è anche che, ad un certo punto, quella rabbia accumulata, in certe condizioni, potrebbe anche esplodere nell’atto di possesso più spregevole e definitivo: l’omicidio o più precisamente, in questi casi, nell’omicidio passionale.

 

Perché il rifiutato ad un certo punto si dirà: “o mia o di nessun altro”. E questo è in qualche modo la finalità che si propone questo soggetto nella sua patologica e irrinunciabile sete di “amore”, per l’appunto un possesso totale e incondizionato.

 

Alla base di questi omicidi abbiamo per lo più la gelosia, una gelosia chiaramente patologica e, per l’appunto, l’angoscia di abbandono che è veramente intollerabile per l’individuo che ne soffre. Vi parlavo prima dell’omicidio emotivo. Ora volevo sottolineare ancora più precisamente la distinzione nel particolare tra omicidio emotivo o d’impeto e omicidio passionale.

 

Per fare questo dobbiamo in qualche modo fare una distinzione tra emozione e passione.

 

L’emozione è una scarica affettiva intensa, di breve durata, uno stato transitorio, e di solito si ha come reazione ad un avvenimento. Anche questi omicidi sono molto cruenti ma in qualche modo sono appunto d’impeto immediati.

 

La passione invece è un’emozione più profonda, di solito diventa duratura e invade e domina l’attività psichica e il comportamento. Nel tempo si struttura a livello ideo affettivo come una vera e propria ossessione. Come dicevo, i mass media di solito confondono questi diversi stati affettivi e per descrivere un omicidio che ha come movente l’amore parlano in qualche modo indistintamente di raptus. Ma non è sempre così. E in genere dicono parlando dell’autore del crimine,ma anche voi avrete avuto modo di sentirlo credo, era una persona così tranquilla, era così buona, una cosa così ci ha colto del tutto impreparati. Bè, diciamo che il male e potremmo dire la personificazione del Male anche iconograficamente rappresentata come il Diavolo, non si presenta mai come tale tra l’altro perché sarebbe facilmente riconoscibile. Per capire infatti i moventi di questi omicidi bisogna, come ho cercato di spiegarvi, andare molto lontano, lontano ma non soltanto per quanto riguarda la storia dell’individuo, ma anche per quanto riguarda la storia delle relazioni di questo individuo.

 

Queste due tipologie omicidiarie possono avere in comune la presenza di una relazione sentimentale tra l’autore e la vittima.

 

Quello che li differenzia è lo stato affettivo: l’emozione o la passione.

 

Il delitto emotivo, d’impeto, è di solito scatenato da un’improvvisa scarica nervosa, di un’intensità incontrollabile, per l’appunto un raptus.

 

L’omicidio passionale, invece, non è improvviso ed è caratterizzato da una lenta e costante preparazione e maturazione che viene costantemente accompagnata da una presenza di idee ossessive sull’oggetto d’amore che annullano nel tempo e sempre di più la capacità di critica e di controllo fino a condizionare tutta la vita della persona che vive soltanto in funzione di quella ossessione.

 

Come potete notare l’omicidio passionale, proprio in ragione di questo, è spesso la terribile e definitiva conclusione all’apice di un’attività di stalking a sua volta ossessivo e pervasivo nei confronti della vittima. Abbiamo già detto che i motivi principali degli omicidi passionali sono la gelosia e la paura dell’abbandono. Bisogna aggiungere che a tutto questo negli omicidi passionali si evince anche una grande quantità di rabbia e un radicato desiderio di vendetta. L’omicidio passionale è appunto l’apice di un lungo percorso caratterizzato da un grande accumulo di tensione interna, di rabbia, che cerca disperatamente un modo per scaricarsi. In effetti potremmo leggere questo tipo di omicidio come una vera e propria valvola di sfogo e, come scrive Marinella Cozzolino, autrice di un bel libro, molto approfondito su queste tematiche,”un urlo per farsi ascoltare da chi non capisce o non ha la pazienza di voler capire. Pensiamo ai casi di omicidio in cui la vittima è uccisa”, come tra l’altro sottolineavo prima, “con trenta, quaranta coltellate. La banalità della causa scatenante è solo la scintilla, nel momento in cui l’assassino inizia ad affondare il coltello sembra voler scaricare tutta la sua frustrazione, l’impotenza che è cresciuta dentro di lui. Il suo gesto è comunicativo e simbolico. E’ come se dicesse”, continua l’autrice,”’ti uccido per questo, e per questo, e per questo’” (M. Cozzolino, 2002, pag. 106)

 

L’autrice prosegue riflettendo sulla difficoltà a trovare una spiegazione razionale alla violenza che si scatena in questi casi, una violenza abbiamo detto a volte estremamente efferata. Sembrerebbe in effetti non esserci un movente evidente o se c’è appare assolutamente sproporzionato rispetto alla violenza che si scatena. A volte, continua sempre l’autrice citata in precedenza, il movente è sconosciuto agli stessi autori che non riescono a rendersi nemmeno conto loro di come sia potuta accadere una simile tragedia. Ma, come conclude la stessa Cozzolino, nessuno uccide senza un motivo e quelli che agli occhi di un osservatore esterno possono essere dei motivi futili e banali hanno sempre per chi ha commesso l’omicidio un senso profondo legato alla loro storia, ed io personalmente nel corso di questo intervento ho cercato di sottolinearvelo, e alla storia della coppia che in questi casi deve essere fedelmente ricostruita ed analizzata per comprendere a fondo che cosa è veramente successo.

 

Consideriamo, per concludere, un altro aspetto e chiediamoci se chi uccide, nei casi di omicidi cosiddetti affettivi, perda il controllo di sé. E’ un altro aspetto che la stessa Cozzolino analizza nel suo lavoro, lavoro a cui ho fatto riferimento in questo mio intervento.

 

Dobbiamo anche in questo caso differenziare il delitto emotivo da quello passionale. Perché nell’omicidio emotivo o d’impeto, quello per intenderci caratterizzato da un raptus improvviso, probabilmente, anzi quasi sicuramente e per definizione, c’è una perdita di controllo. Quando si parla invece di omicidio passionale possiamo parlare di un particolare stato di coscienza perché l’omicidio è la fase conclusiva di un continuum in cui un desiderio tanto agognato diventa realtà e la lucidità è essenziale perché in quel momento l’autore possa considerarsi veramente appagato.

 

L’omicidio passionale, ma anche quello d’impeto, ci impongono quindi una seria riflessione sull’animo umano e sulla complessità del suo sentire, sui conflitti e sulle innumerevoli ambiguità e contraddizioni che lo caratterizzano. I nostri sentimenti, come scrive sempre la Cozzolino, e che mi trova del tutto d’accordo, non sono lineari e così ben definiti. In realtà dentro di noi per lo più abita una miscela di opposti nella quale il Male, scrive l’autrice, è il punto più profondo del Bene.

 

In molti casi, aggiungo, questi sentimenti ambigui, questi disagi, molto profondi e di cui nessuno si accorge e che si alimentano per anni, esplodono all’improvviso e ci parlano di storie e di persone le cui strade ad un certo punto si incontrano. Ci parlano di vite spezzate da ferite profonde, di individui che cercano nella relazione una cura impossibile e che non arriverà mai. Queste storie ci parlano di un dolore profondo che se non verrà sanato in tempo provocherà altro dolore.

 

E allora cerchiamo di fare in modo che almeno possano servire come opportunità, triste opportunità certamente, per poterci interrogare seriamente su tutti gli antefatti, su tutte le premesse dalle quali e sulle quali si è alimentata la rabbia omicida per cercare di cogliere eventuali segnali che ci permettano di capire e forse un giorno anche di prevenire.

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