Mia figlia è pericolosa

Daniela

Buonasera, scrivo anche qui per avere un ulteriore aiuto.
Mia figlia ha la 104 grave per autolesionismo e difficoltà a stare con la gente. Inoltre è innamorata di un uomo trent’anni più grande di lei, con comportamenti da pedofilo. Dopo le varie denunce ai Carabinieri (la loro risposta è stata: “Se ha 16 anni può stare con chi vuole”, nonostante questo soggetto sia sempre ubriaco, drogato ecc.), mia figlia è seguita da una psicologa… ma non vedo risultati.

Per farla breve, vorrei mandare mia figlia in comunità per allontanarla da lui, per farle capire che nella vita bisogna lavorare per guadagnarsi da vivere, che non è tutto dovuto e che le sue minacce di tagliarsi sono solo tali e basta. La psicologa mi ha riferito che, per il momento, non ci sono gli estremi.

Ma mi chiedo: io, da mamma esasperata che non ha più una vita, non posso far richiesta?
Mia figlia deve capire che non sto scherzando e che, ripeto, nella vita non è tutto dovuto.

Grazie a chi mi darà consigli.

3 risposte degli esperti per questa domanda

Cara Daniela,

leggendo la tua richiesta percepisco un grande dolore, frustrazione e senso di impotenza. E' naturale sentirsi esasperata e senza via d'uscita quando si assiste ad una spirale di comportamenti autodistruttivi e pericolosi da parte di una persona cara, soprattutto sua figlia.

Comprendo che la sua domanda:" mi chiedo: io, da mamma esasperata che non ha più una vita, non posso fare più niente?" racchiude il peso di anni di sacrifici e la sensazione di aver fallito.

La risposta alla sua domanda è: sì, lei può e deve fare ancora molto, ma non nel modo in cui ha provato finora. Il suo ruolo non è più di "salvatrice" o "controllore", ma di gestore della crisi.

La situazione di sua figlia suggerisce un quadro clinico molto complesso che richiede un supporto psichiatrico oltre quello psicologico. I tagli e le minacce non sono tali, ma spesso sono il segnale di un malessere profondo.

In una situazione così grave , è fondamentale non sentirsi da sola ed agire attraverso i canali adeguati. Si appoggi a un gruppo di supporto o chieda lei stessa un breve consulto psicologico per gestire lo stress, inoltre si rivolga ai servizi sociali del suo comune per valutare la necessità di interventi di protezione per sua figlia.

Cara Daniela

quello che stai vivendo è pesante, e la tua stanchezza è comprensibile. Quando una figlia fragile si fa del male, rifiuta i confini e si lega a un adulto che percepisci come pericoloso, è naturale sentirsi soli e senza strumenti. Ma proprio perché lei è vulnerabile, la via drastica della comunità non sempre è la più efficace.
La comunità non è una punizione né un “centro di rieducazione”: è un contesto terapeutico che viene attivato solo quando c’è un rischio reale e continuativo per la vita della persona, o quando il nucleo familiare non può più contenere la situazione.
Le sue minacce non sono “solo tali”: sono il modo confuso con cui esprime un dolore che non sa gestire. E reagire con misure drastiche rischia di aumentare la sua opposizione, non di renderla più responsabile.

In questo momento è importante riconoscere i tuoi limiti, chiedere aiuto, attivare una rete che possa contenere ciò che da sola non puoi più sostenere. Pretendere da tua figlia un’autoconsapevolezza che lei, per età e fragilità clinica, non può avere, significa farti carico di un compito impossibile. La tua forza sta invece nel dire con chiarezza: “Io, da sola, così non ce la faccio più. Ho bisogno di un supporto strutturato.”
Detto questo, tu non devi affrontare tutto da sola. Prima della comunità esistono percorsi intermedi molto utili: un centro diurno, dove possa trascorrere i pomeriggi in un contesto protetto, con attività strutturate e figure educative; oppure il coinvolgimento più diretto dei servizi sociali, che possono sostenere te come genitore e costruire un piano condiviso per vostra figlia.

Non si tratta di punirla, ma di darle contenimento e continuità. E per farlo serve che tu venga ascoltata e sostenuta. Parlane apertamente con la psicologa e con i servizi: puoi dire che non ce la fai più e che hai bisogno di un intervento più strutturato. Non è un fallimento: è un atto di responsabilità verso tua figlia e verso te stessa.
Tu meriti supporto. E lei merita una madre che non sia schiacciata dallo sfinimento, ma accompagnata da una rete che vi aiuti davvero.

Con affetto
Dott.ssa Bacchi

Dott.ssa Flora Bacchi

Dott.ssa Flora Bacchi

Bergamo

La Dott.ssa Flora Bacchi offre supporto psicologico anche online

Buongiorno Daniela, provo a risponderle con molta sincerità e rispetto, perché da quello che scrive si sente tutta la sua esasperazione, ma anche una grande paura per sua figlia.Lei è stanca, probabilmente sfinita da anni di tensione continua, di allarmi, di notti in cui si vive con il fiato sospeso. È comprensibile che a un certo punto una madre pensi: “Così non si può più andare avanti”. Questo non la rende cattiva, la rende umana. Detto questo, è importante fermarsi su alcuni punti delicati. L’autolesionismo e le minacce di farsi del male non sono capricci né ricatti, anche quando sembrano “solo parole”. Spesso sono l’unico modo che un ragazzo o una ragazza ha per dire che sta male e non riesce a reggere quello che sente dentro. Minimizzarle, anche per disperazione, rischia di aumentare il pericolo invece che ridurlo.

Capisco il suo desiderio di allontanarla da quest’uomo. Da madre è un impulso naturale e comprensibile. Ma una comunità non può e non deve essere usata come una punizione o come un modo per “farle capire la lezione”. Le comunità funzionano quando c’è un progetto terapeutico chiaro e condiviso, non quando diventano un braccio di ferro. Forzarla, in questo momento, potrebbe farle vivere l’allontanamento come un abbandono o una violenza, rafforzando proprio il legame con quella persona.

La psicologa che segue sua figlia, dicendo che “non ci sono gli estremi”, probabilmente non sta minimizzando la situazione, ma valutando che al momento sua figlia non è clinicamente contenibile in modo coatto. Questo non significa che il problema non esista, ma che va affrontato in un altro modo, più lento e più faticoso.

Lei chiede se, come madre, può fare richiesta. Dal punto di vista emotivo la capisco profondamente. Dal punto di vista psicologico, però, la domanda forse più importante è un’altra: che cosa sta chiedendo davvero sua figlia con questi comportamenti? Spesso relazioni così sbilanciate diventano un rifugio quando non ci si sente visti, forti, degni, capaci di stare nel mondo. In tutto questo, c’è anche lei. Una mamma che dice “non ho più una vita” sta lanciando un segnale altrettanto importante. Anche lei ha bisogno di sostegno, di uno spazio suo, magari di un percorso di supporto genitoriale. Non per essere giudicata, ma per non crollare.

La fermezza è necessaria, sì. Ma deve andare insieme alla protezione, non alla minaccia. I confini servono, ma non attraverso la paura. Se possibile, chieda un confronto più ampio: neuropsichiatria infantile, servizi territoriali, un lavoro di rete più strutturato. E soprattutto non resti sola.

Non è una battaglia contro sua figlia. È una battaglia per sua figlia. E per farla, lei non dovrebbe essere lasciata sola a combattere.

Un caro saluto

Dott. Fabiano Foschini

Dott. Fabiano Foschini

Milano

Il Dott. Fabiano Foschini offre supporto psicologico anche online