Consulenza psicologica per uso/abuso di cocaina

Consulenza psicologica sul consumo

Esistono vari progetti ed esperienze di consulenze brevi sul consumo delle sostanze stupefacenti, per orientare i clienti, aiutarli a definire i loro obiettivi, aiutarli a ridurre l’uso di sostanze, a prevenire situazioni di disagio sociale e familiare, mentalizzare i fattori di rischio e protezione nell’esperienza di uso/abuso.


Questo è ciò che accade in ITALIA (aggiornato a 1/12/2010)
Osservatorio droghe Campania, Meno tossicodipendenti ma non meno consumatori

Maschio, tra i 30 e i 34 anni, utilizzatore di cocaina, eroina e cannabinoidi: e' la fotografia dei tossicodipendenti in cura presso i Sert della Regione Campania, scattata dai dati sull'uso delle sostanze stupefacenti tra i cittadini del territorio, secondo i dati del 'Report droghe 2010, a cura dell'Osservatorio regionale campano.

Un fenomeno, quello della tossicodipendenza, che tocca anche le donne: sono soprattutto quelle di eta' compresa tra i 30 e i 34 anni e un incremento di utilizzatrici che supera i 39 anni.
Diminuiscono i tossicodipendenti che sono in cura presso i Sert della Regione Campania: nel 2009 sono stati 23.633 (di cui quasi 22mila uomini e 1.667 donne) a fronte degli oltre 24mila dell'anno precedente. Cresce il numero dei consumatori sporadici ed occasionali. Si tratta dei consumatori occasionali, quelli del sabato sera o dell'una tantum che, difficilmente, si rivolgeranno a un Sert per essere aiutati o per evitare di sviluppare una dipendenza.

Appare in crescita il fenomeno della poli-assunzione di droghe tra i consumatori.
Per quanto riguarda l’abuso di sostanze possiamo parlare di sostanza primaria e secondaria. Nel primo caso, in Campania, la dipendenza maggiore resta quella da eroina (60% dei casi) e da cocaina (quasi 20%).

Per sostenere chi chiede aiuto, i 46 Sert campani, insieme con 18 enti ausiliari e attraverso 30 sedi operative sul territorio, offrono una assistenza che non è soltanto medica.
Accanto alle terapie farmacologiche, assume un rilievo importante, il percorso psicosociale, trattamenti erogati anche nelle strutture riabilitative e nelle carceri.
Nel 2009, sono stati oltre 15mila i trattamenti psicosociali somministrati nei Sert, 1.315 nelle Comunita' e poco piu' di mille nelle carceri.

Sulla dipendenza “ uso “ abuso di cocaina anche webcocare ricalca modelli di intervento statunitentisi che si sono mostrati efficaci.
L’èquipe parla di “consulenza mirata”.

Il trattamento si articola in 36 settimane. Nelle prime 12 sono richieste 2 sedute alla settimana per un totale di 24 sedute. Dalla tredicesima alla quattordicesima è richiesta la partecipazione ad 1 seduta alla settimana. Dalla venticinquesima settimana alla trentaseiesima viene proposta la partecipazione ad una seduta ogni 15 giorni. Le sedute dovrebbero durare 45 minuti circa ed il loro numero deve essere flessibile e dipendere dalle motivazioni del paziente.

Cosa intendo per “consulenza sul consumo”.

Per iniziare una consulenza sul consumo è opportuno avere in mente alcuni concetti chiavi da cui partire per orientarsi:
- Inquadrare la fase di ciclo vitale in cui è iniziato il consumo di sostanza
- Inquadrare la fase della vita in cui si sono verificate fasi di disagio o crollo per l’uso di sostanze stupefacenti.
- Inquadrare i momenti o le fasi della vita drug - free
- Inquadrare la situazione psicologica, sociale e sanitaria in cui si trova il cliente, indice anche del suo livello di dipendenza dalla sostanza

Strutturazione della seduta
1 fase: raccolta del racconto o indagine rispetto all’uso/ non-uso di cocaina da parte del cliente o al desiderio di essa. Indagare cosa è accaduto, quando il cliente è divenuto consapevole del desiderio o del bisogno di fare uso della sostanza, che cosa è accaduto dopo.

2 fase: incentivare e raccogliere riflessioni sugli elementi e situazioni che hanno spinto all’uso di cocaina, raccolta delle preoccupazioni su questo, restituzione dei momenti in cui è più probabile che subentri l’uso di sostanza. Riflessioni sulle situazioni e momenti in cui non subentra per nulla il desiderio o l’uso di sostanza. Esplicitazione e rinforzo delle strategie che funzionano per raggiungere l’obiettivo.

3 fase: chiedere e discutere il nuovo obiettivo e su come conseguirlo, quali strategie utilizzare, in base al racconto delle precedenti fasi, nel momento in cui si presentano le situazioni di rischio già individuate. Se le situazioni di rischio non sono state sufficientemente individuate, provare a chiedere al cliente di individuare quelle che si potrebbero presentare nella settimana. Evidenziare le strategie utili e le risorse della persona (per es. impegni, lavoro, hobbies, rete sociale, amicizie, nuovi luoghi di svago o di attività, nuovo modo di utilizzare le risorse familiari).

Percorso terapeutico

Immagino che un percorso di consulenza sul consumo debba produrre cambiamenti in tempi brevi (un po’ come l’impostazione della consulenza psicologica strategica) ed agire proprio sul sintomo.
Inizialmente l’idea fondamentale è di creare una relazione di aiuto rilevante, come la definisce Rogers. Rogers nel 1951 ha definito la relazione d'aiuto come "una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato. L'altro può essere un individuo o un gruppo. In altre parole, una relazione di aiuto potrebbe essere definita come una situazione in cui uno dei partecipanti cerca di favorire in una o ambedue le parti, una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto ed una maggior possibilità di espressione". La specificità che la distingue dalle altre relazioni umane è l'aspetto metacognitivo: per competenza d'aiuto si intende infatti la capacità di dare vita ad una relazione umana in modo consapevole, controllato ed intenzionale, padroneggiando razionalmente abilità "che sono un tutt'uno con ciò che si è".

La tecnica fondamentale di cui parla Rogers è la riformulazione ovvero sintetizzare/focalizzare quello che dice il cliente concentrandosi sul contenuto, sull’obiettivo oppure sull’emozione. Robert Carkhuff è considerato il più famoso esperto internazionale di counseling e relazione di aiuto. Già allievo di Carl Rogers, Carkhuff ha
elaborato per primo un modello operativo per una descrizione analitica e dettagliata delle abilità fondamentali del processo di aiuto ed costruito una tabella delle possibili riformulazioni.
Si possono dare risposte al contenuto, magari focalizzando e ricostruendo gli eventi; oppure si possono dare risposte al contenuto ed all'emozione, sottolineando che un determinato evento ha prodotto un'emozione; si ponno dare risposte solo al sentimento, sottolineando l'emozione prevalente in cui si trova la persona; o ancora di può dare una risposta al contenuto ed al sentimento mettendo in risalto il deficit della persona; in ultimo si può optare per una risposta al contenuto ed al desiderio mettendo in risalto il progetto della persona.

Secondo ma all’interno della consulenza sul consumo potrebbero essere presenti tutte e quattro i tipi di risposta, ma soprattutto si aiuta il cliente sull’area dei contenuti e degli obiettivi e non si va a caccia delle emozioni.

Nella prima fase le sedute possono essere più incalzanti, un incontro o due settimanali se ciò è vissuto come contenitivo da parte del paziente, mentre nella seconda fase, quando si è già instaurata una relazione significativa e si sono raggiunti i primi obiettivi prefissati (periodo drug - free, riduzione dell’uso, etc…) si può passare ad un incontro settimanale o quindicinale, dove lavorare maggiormente sull’acquisizione di maggiore consapevolezza e di più strategie per fronteggiare le eventuali situazioni a rischio individuate. La terza fase è quella del consolidamento o mantenimento degli obiettivi.

Nel corso di queste fasi emergeranno sicuramente vissuti inerenti la propria storia personale e familiare ma questi non possono essere argomento di trattazione. Sono, invece indecisa, rispetto a come trattare le tematiche del transfert e del controtransfert, che credo, da una parte, non debbano essere argomento delle sedute, dall’altra parte mi rendo anche conto che meta-comunicare su alcuni aspetti relazionali potrebbe essere efficace ed aprire spunti per ulteriori approfondimenti psicoterapici ma anche per salti di qualità nella comprensione.
Voglio introdurre il concetto delle Dinamiche di Vincolo tratte dalle teorie transazionali a partire da Eric Berne (1910 - 1970).

Le Dinamiche di Vincolo (della Psicologia del Sé) nascono assieme a noi, rappresentano l’interazione primaria che sperimentiamo nascendo. Se il bambino non si connette al genitore, non può ricevere nutrimento e amore; quindi la DV riflette il modo naturale, istintivo, inscritto nel nostro sistema psichico, con cui si dà e si riceve “nutrimento” affettivo. In un certo senso, la DV protegge la specie, perché “vincola”, appunto il genitore al figlio e viceversa, creando una connessione che poi, con lievi differenze, portiamo avanti per tutta la vita.

Anche da adulti ci leghiamo alle persone attraverso questi schemi che riprendono e ripetono il legame genitore-figlio (bambino); questo indipendentemente dall’essere realmente genitori e figli dal punto di vista biologico: cioè le DV si attuano in modo naturale tra amici, colleghi, partner, famigliari. Questi movimenti sono assolutamente naturali, come la respirazione. Non possiamo avere un controllo totale sulla nostra respirazione, anche se possiamo imparare a respirare meglio, più profondamente, con più attenzione. Questo concetto è fondamentale, altrimenti si corre il rischio di colpevolizzarsi quando ci accade di vivere una DV, una volta che ne abbiamo appreso i meccanismi e alcune Parti di noi (il Conoscitore, il Critico, il Perfezionista) si illudono che possiamo uscirne definitivamente!

Le DV vengono definite “positive” e “negative”: non si tratta di un giudizio di valore, nel senso che una DV positiva non è necessariamente “buona” per le due persone coinvolte, così come non è necessariamente “cattiva” una DV negativa. Queste parole vengono usate solo per definire i sentimenti e le emozioni che in genere le accompagnano: quando una DV è positiva, ci sentiamo bene, accolti, protetti. In qualche modo, ha una sua prevedibilità che ci rassicura, è stabile. Così come ci sentiamo malissimo, letteralmente cacciati dal Paradiso, quando la DV si trasforma in negativa.

Le DV appartengono alla vita, e quindi anche a qualsiasi tipo di relazione di aiuto e/o terapeutica. Ogni partecipante alla relazione interagisce sia dal suo Aspetto genitore che dal suo Aspetto Bambino e questo, praticamente, in contemporanea. Avvengono simultaneamente, sono un intreccio sistemico.
Quando avvengono all’interno di una relazione di aiuto, le DV sono il Transfert e il Controtransfert (T, CT).
Vediamo alcuni aspetti tipici con cui si può caratterizzare una relazione di DV positiva nell’ambito della relazione di aiuto:

Il Counselor - Il Cliente
Genitore Buono - Bravo Bambino, Bambino Bisognoso, Figlio viziato
Genitore Responsabile - Bambino dipendente, rassicurato, compiacente
Genitore Nutritivo - Figlio accudito
Genitore Competente - Bambino incompetente, affascinato, bravo allievo…
Genitore Che Sa - Bambino inadeguato, che non sa, curioso, affascinato…
Genitore apprezzante - Figlio grato

Ovviamente quando una persona si rivolge a un Counselor o a qualsiasi altra figura professionale nell’ambito della relazione di aiuto significa che ha bisogno: si sente destabilizzato o a disagio per qualche situazione difficile nella sua vita. E’ quindi evidente che una DV positiva all’inizio può aiutare a creare un certo affido, a dare la sensazione del nutrimento, la fiducia nelle proprie possibilità; ma se la relazione viene vissuta solo da questa parte, non tarderanno a crearsi dei problemi. Quindi la possiamo vedere come una pulsazione, un battito che in certi momenti accompagna la relazione, ma non sempre. Il punto infatti è: quando deve esserci? Ne siamo coscienti? Quando interferisce?

La DV, abbiamo detto, contempla in contemporanea l interazione degli aspetti genitoriali e degli aspetti bambini di entrambi i protagonisti. Spesso però le riflessioni terapeutiche non dedicano adeguata attenzione all’altro “ramo” della dinamica, ovvero a come la parte Bambina del Counselor / Terapeuta si connette alla parte Genitoriale del cliente. E questo elefante è la vulnerabilità legata alle parti bambine. Vedere questo secondo ramo vuol dire vedere, come Counselor, le nostre parti che vogliono essere apprezzate, che hanno bisogno di sicurezza economica, quelle dipendenti o bisognose o sole.

Al termine di questo percorso (ovvero quando si saranno raggiunti gli obiettivi prefissati e ricontrattati /ridefiniti gli stessi) la consulenza può andare avanti con incontri di follow -up mensili. Abbiamo sperimentato che tali appuntamenti possono mantenere la loro funzione anche se sono solamente telefonici.

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