Il Disturbo Istrionico di Personalità (DIP) è una condizione psicologica spesso fraintesa. Chi ne soffre tende ad attirare l’attenzione, a usare comportamenti teatrali ed emotivamente intensi, e può apparire esagerato o superficiale. Ma dietro questi atteggiamenti si nasconde una fragilità emotiva profonda, che merita attenzione e comprensione.
I segnali del disturbo
Le persone con DIP mostrano alcuni comportamenti tipici:
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Desiderio costante di attenzione: sentono il bisogno di essere sempre al centro della scena.
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Espressività teatrale: usano toni di voce esagerati e gesti ampi per farsi notare.
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Relazioni superficiali: i rapporti affettivi possono sembrare intensi, ma spesso mancano di profondità.
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Comportamenti manipolativi: a volte esagerano emozioni o situazioni per ottenere affetto o approvazione.
Questi atteggiamenti possono creare difficoltà nei rapporti sociali, familiari e lavorativi. Tuttavia, è importante ricordare che non si tratta di comportamenti volontari o calcolati: spesso sono il risultato di un meccanismo inconscio legato al bisogno di sentirsi amati e apprezzati.
Il volto mitologico del disturbo: Fedra
Per comprendere meglio la dimensione umana ed emotiva del DIP, può essere utile guardare alla mitologia. Un personaggio che incarna molti dei tratti di questo disturbo è Fedra, moglie di Teseo nella tragedia greca.
Fedra è ricordata per il suo amore proibito verso il figliastro Ippolito, un sentimento che non riesce a contenere e che vive con drammaticità estrema. Il suo comportamento presenta diversi elementi riconducibili al disturbo istrionico:
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Intensità emotiva e impulsività: Fedra si lascia travolgere dai suoi sentimenti, incapace di reprimerli o gestirli razionalmente.
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Drammatizzazione e teatralità: il suo amore non corrisposto diventa motivo di sofferenza estrema, che culmina nel suicidio.
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Manipolazione involontaria: nella sua lettera d’addio, accusa falsamente Ippolito di aver tentato di sedurla, scatenando una tragedia che coinvolge tutta la famiglia.
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Bisogno di riconoscimento e amore: il suo desiderio di essere amata e considerata è talmente potente da portarla alla distruzione di sé e degli altri.
Fedra non è solo una figura tragica, ma anche un simbolo di quella sofferenza emotiva profonda e non visibile, che può manifestarsi in modo esagerato e incomprensibile per chi osserva da fuori. La sua storia ci ricorda quanto sia importante guardare oltre i comportamenti, e cercare le cause interiori che li generano.
Nella società attuale, dove si valorizzano l’autonomia e il controllo emotivo, il comportamento di chi ha il DIP può essere male interpretato. Spesso vengono etichettati come "drammatici", "immaturi" o "manipolatori", alimentando stigma e isolamento. Anche la persona che vive il disturbo può non riconoscere il proprio disagio, sentendosi confusa o non capita.
Quando il DIP entra in famiglia
Il disturbo può influire pesantemente sulle dinamiche familiari, soprattutto se chi ne soffre è un genitore. In questi casi, può instaurarsi un rapporto di dipendenza emotiva con i figli, chiedendo loro attenzione e affetto in modo eccessivo. Questo può portare a:
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Confusione nei ruoli familiari
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Difficoltà emotive nei figli, che spesso crescono con una visione distorta delle relazioni
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Cicli emotivi instabili, fatti di idealizzazione e svalutazione
Le conseguenze si riflettono anche fuori casa, creando tensioni nelle amicizie e nei rapporti professionali.
Come si cura il Disturbo Istrionico
Affrontare il DIP richiede un approccio completo. Le terapie più utilizzate includono:
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Psicoterapia psicodinamica: esplora le radici profonde del bisogno di approvazione, spesso legate a esperienze infantili.
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Terapia familiare: migliora la comunicazione e aiuta a ristabilire confini emotivi sani all’interno del nucleo familiare.
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Educazione psicologica: è fondamentale che la persona e i suoi cari capiscano come funziona il disturbo, per affrontarlo con maggiore consapevolezza.
Guardare oltre il comportamento
Il DIP non è solo una questione di "fare scena". È l’espressione di un disagio profondo che ha bisogno di essere riconosciuto e trattato con empatia. Creare una cultura più accogliente, che riduca i pregiudizi e promuova l’accesso alla cura, è il primo passo per aiutare davvero chi convive con questo disturbo.
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