Una soglia infranta: cosa segnala la rabbia
Ogni emozione è una risposta dell’organismo a uno scarto di significato. La rabbia, in particolare, nasce quando si percepisce una violazione — reale o simbolica — del proprio perimetro identitario. È una reazione evolutivamente antica, condivisa tra i mammiferi, innescata da un attacco percepito alla propria integrità (Panksepp, 1998).
L’attivazione rabbiosa non è quindi patologica in sé. Lo diventa quando non trova un contenitore simbolico o una funzione trasformativa. Le neuroscienze affettive hanno mostrato come l’emozione della rabbia si generi principalmente nel sistema limbico, coinvolgendo l’amigdala e il nucleo periacqueduttale. Ma è nella corteccia prefrontale mediale che l’informazione grezza viene integrata, attribuendole significato e direzione (Damasio, 2003).
Dal modello cognitivo all’approccio neuroaffettivo
Il modello cognitivo classico (Beck, 1976) ha interpretato la rabbia come l’effetto di pensieri disfunzionali relativi a ingiustizia, colpa altrui, intenzionalità malevola. Tuttavia, le formulazioni più recenti, come quelle proposte da Linehan (1993) nel trattamento della disregolazione emotiva, hanno posto l’accento sulla vulnerabilità temperamentale e sull’ambiente invalidante.
Ancora più recentemente, il paradigma neuroaffettivo ha permesso di leggere la rabbia come manifestazione di un sistema difensivo che cerca protezione, non distruzione. Secondo Allan Schore (2012), infatti, le esplosioni rabbiose sono spesso il risultato di un’arousal troppo elevato che non trova modulazione interpersonale, soprattutto nei contesti in cui le prime esperienze di attaccamento non hanno garantito un contenimento sicuro.
Rabbia e corpo: un’emozione situata
Non si può comprendere la rabbia se non si ascolta il corpo. Il tono muscolare che cambia, la mandibola che si serra, il respiro che si accorcia. La rabbia si iscrive nel soma prima ancora di raggiungere la coscienza.
Le teorie dell’embodiment (Gallese, 2007) hanno mostrato come le emozioni siano inscritte nei circuiti sensorimotori. Non basta quindi “capire” la rabbia per trasformarla. Occorre anche sentirla. Sentirla pienamente, senza fuggirla, senza giustificarla né reprimerla. Questo passaggio, spesso evitato per paura di perdere il controllo, è invece la soglia necessaria per accedere al nucleo informativo dell’emozione.
Quando l’ira prende la scena: la disintegrazione del sé narrativo
La rabbia incontrollata, reiterata, può portare a una frammentazione dell’identità narrativa. Ogni volta che si perde il controllo, si genera una frattura tra l’immagine di sé desiderata e quella osservata. Questo scarto può condurre a sentimenti di vergogna secondaria, spesso più insidiosi della rabbia stessa.
La ricerca sull’attaccamento adulto (Fonagy et al., 2002) ha mostrato come le persone con stili disorganizzati abbiano maggiore difficoltà a contenere l’affetto rabbioso, proprio per un deficit di mentalizzazione: non riescono a rappresentarsi mentalmente né l’altro né se stessi in modo coerente nei momenti di attivazione emotiva intensa.
Verso un’etica della rabbia: contenere senza cancellare
Non si tratta, dunque, di eliminare la rabbia, ma di imparare a usarla. Perché la rabbia può anche essere una forza generativa: un modo per dire no, per proteggere ciò che è sacro, per denunciare il non detto. Ma può diventare tale solo quando viene depotenziata nel corpo, messa in parole e riconosciuta come legittima.
Come scriveva Rollo May, “la rabbia è una voce che chiede giustizia”. Tacerla, anestetizzarla o banalizzarla significa rinunciare a una parte essenziale della propria vitalità.
Bibliografia
-
Damasio, A.R. (2003). Looking for Spinoza: Joy, Sorrow, and the Feeling Brain. Harcourt.
-
Panksepp, J. (1998). Affective Neuroscience: The Foundations of Human and Animal Emotions. Oxford University Press.
-
Schore, A.N. (2012). The Science of the Art of Psychotherapy. Norton.
-
Fonagy, P., Gergely, G., Jurist, E.L., Target, M. (2002). Affect Regulation, Mentalization, and the Development of the Self. Other Press.
-
Gallese, V. (2007). Embodied simulation: from mirror neuron systems to interpersonal relations. In Social Neuroscience, 3(3-4), 1–13.
-
Linehan, M.M. (1993). Cognitive-Behavioral Treatment of Borderline Personality Disorder. Guilford Press.
-
Beck, A.T. (1976). Cognitive Therapy and the Emotional Disorders. International Universities Press.
-
May, R. (1972). Power and Innocence: A Search for the Sources of Violence. Norton.
La consapevolezza è il vero lusso che ci cambia la vita!
Dr. Elena De Franceschi - Psicologa clinica - e.defranceschi@psicoaosta.com - info@psicoaosta.com - www.psicoaosta.com
commenta questa pubblicazione
Sii il primo a commentare questo articolo...
Clicca qui per inserire un commento