Decidere può far male: quando il pensiero si inceppa
Chi vive l’ansia decisionale non è incapace di decidere. Al contrario: spesso è qualcuno che ha preso innumerevoli decisioni nella propria vita, anche complesse, anche importanti. Eppure, a un certo punto, qualcosa si inceppa.
Le scelte iniziano a diventare sofferte. Il pensiero, che una volta era fluido, si trasforma in un circuito chiuso. Il tempo si dilata. Il corpo si contrae. La testa ruminante lavora senza sosta, mentre l’azione resta in stallo.
Questo fenomeno ha un nome nella letteratura psicologica contemporanea: overthinking, o “pensiero infinito” (Ehring & Watkins, 2008). È un circolo vizioso in cui il soggetto pensa di poter raggiungere la chiarezza aumentando il numero di analisi, ma ottiene solo più dubbio, più incertezza, più ansia.
La paura di sbagliare: radici emotive e identitarie
Dietro il pensiero ossessivo non c’è solo razionalità, ma una profonda componente emotiva: il terrore dell’errore. Sbagliare, per molte persone ad alto funzionamento, non è un semplice inciampo. È un fallimento identitario.
Nel mio lavoro clinico, incontro spesso pazienti che associano la decisione all’irreparabilità. Una volta scelto, non si torna indietro. E allora ecco il rimuginio, la paralisi, il desiderio segreto che qualcun altro scelga per loro.
Il caso di Marta
Marta, 42 anni, dirigente editoriale. Il suo tempo è diviso tra Milano e Berlino. Ogni decisione – dal trasferimento di sede a quale scuola scegliere per il figlio – è accompagnata da settimane di angoscia. “Mi sento sempre in difetto, come se ci fosse una scelta migliore che non sto vedendo. E se poi me ne pento?”
Il trattamento si è concentrato sulla tolleranza all’ambivalenza, sul tema dell’autoefficacia e sulla distinzione tra errore e identità personale.
Il pensiero infinito come evitamento
La ricerca recente ha messo in luce come la ruminazione prolungata non sia solo un sintomo, ma una strategia di coping disfunzionale. Secondo Wells (2009), pensare in modo eccessivo è un tentativo paradossale di ridurre l’ansia: restare nel pensiero allontana l’azione, che è il vero luogo del rischio.
Chi rimugina, spesso, non vuole davvero decidere. Vuole evitare le emozioni associate alla decisione: il senso di colpa, la perdita, la responsabilità.
Che cosa aiuta davvero?
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Riconoscere il pensiero ripetitivo come un sintomo, non una soluzione
Capire che più pensiamo, meno decidiamo, è il primo passo. Serve un’educazione emotiva che insegni a distinguere il pensiero fertile da quello sterile. -
Allenarsi alla decisione “abbastanza buona”
L’ideale non esiste. L’obiettivo non è scegliere perfettamente, ma scegliere in modo coerente con i propri valori e il proprio contesto. -
Esporsi gradualmente all’atto di decidere
Anche la decisione è un muscolo. In terapia si può lavorare con piccole scelte quotidiane, fino a quelle più grandi, rinforzando la fiducia interna. -
Affrontare la paura del rimpianto
In molti casi, la paralisi è legata a un’antica paura: pentirsi. Ma il rimpianto fa parte della vita adulta. È inevitabile, e spesso sopravvalutato. -
Conclusione
Decidere non è mai solo un atto cognitivo. È un gesto esistenziale, che chiama in causa la nostra storia, le nostre paure, il nostro modo di stare nel mondo.
Uscire dalla trappola del pensiero infinito significa imparare a fidarsi — non tanto del futuro, quanto di sé.
Bibliografia essenziale
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Ehring, T., & Watkins, E. (2008). Repetitive negative thinking as a transdiagnostic process. International Journal of Cognitive Therapy, 1(3), 192-205.
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Wells, A. (2009). Metacognitive therapy for anxiety and depression. Guilford Press.
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Schwartz, B. (2004). The Paradox of Choice. Harper Perennial.
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Kross, E., & Ayduk, Ö. (2011). Making meaning out of negative experiences by self-distancing. Current Directions in Psychological Science, 20(3), 187-191.
La consapevolezza è il vero lusso che ci cambia la vita!
Dr. Elena De Franceschi - Psicologa clinica - e.defranceschi@psicoaosta.com - info@psicoaosta.com
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