Buongiorno,
la ringrazio per aver condiviso qualcosa di così personale. Non è affatto semplice esporsi e parlare apertamente di ciò che ci turba, soprattutto quando, all’esterno, tutto può sembrare “a posto”: un lavoro stabile, una famiglia, una vita che funziona. Eppure, lei sente che dentro qualcosa non trova pace, e questo merita attenzione e rispetto.Da ciò che racconta, emerge chiaramente una persona capace, determinata, che nella vita non si è mai tirata indietro di fronte alle responsabilità. Ha lavorato tanto, si è rimessa in gioco più volte, ha costruito percorsi diversi e complessi, spesso sacrificando se stessa per fare la cosa giusta, quella più sensata o più sicura per la sua famiglia. Ma nonostante tutto, quella sensazione di incompletezza continua a tornare, come se nessun ruolo, per quanto importante, riuscisse davvero a colmare un vuoto più profondo.
Il sogno di diventare medico, che lei cita con tanta sincerità, non è soltanto un ricordo giovanile: è il simbolo di una parte di sé che ha sempre voluto “curare”, capire, prendersi cura in senso ampio degli altri, ma anche della propria vocazione. Anche se la vita l’ha portata su strade diverse, quel bisogno non è mai scomparso: si è solo spostato in altri ambiti, come il lavoro nel sociale, che in fondo è una forma diversa, ma affine, di prendersi cura. Solo che, quando una parte di noi resta inascoltata troppo a lungo, prima o poi torna a farsi sentire.
L’insoddisfazione che prova non significa che abbia sbagliato tutto, né che manchi di gratitudine per ciò che ha. Al contrario, è un segno di consapevolezza: il suo animo è ancora vivo, curioso, desideroso di significato. Forse oggi non si tratta di inseguire un sogno in senso letterale, ma di capire cosa di quel sogno è ancora attuale, e come può farlo vivere nella sua quotidianità. A volte, la “cura” che cerchiamo fuori può ritrovare spazio in un progetto personale, nel volontariato, nello studio, nella scrittura o anche semplicemente nel permettersi di tornare a sentire entusiasmo per qualcosa di nuovo. Il punto non è cancellare ciò che è stato, ma riconoscere che ogni tappa della sua vita ha avuto un senso, anche quelle che ora le sembrano incomplete. E oggi, a 54 anni, non è affatto tardi per ridare voce a ciò che la fa sentire viva.
Le suggerirei, se se la sente, di esplorare questi sentimenti con l’aiuto di un professionista, non per “curare” qualcosa di rotto, ma per dare spazio e significato a ciò che la sua parte più autentica sta cercando di dirle.
Non c’è nulla di sbagliato nell’essere inquieti. L’inquietudine, a volte, è solo il modo in cui l’anima ci ricorda che non ha smesso di sognare.
Un caro saluto