Gentile Erika,
le sue parole trasmettono una preoccupazione profonda, non solo per i comportamenti attuali di sua figlia, ma anche per il senso di distanza che sta crescendo tra voi, nonostante il suo impegno costante nel comprendere e tollerare. È evidente quanto lei stia cercando di tenere insieme il bisogno di lasciarla crescere con il desiderio di non perderla di vista.
Quello che descrive non è solo un insieme di comportamenti disordinati o oppositivi: è un movimento complesso, sottile, che tocca dinamiche profonde del legame tra genitore e figlia in una fase delicatissima della crescita.
Da quanto emerge, lei è una mamma vigile, attenta, e forse anche un po’ sola in questa osservazione costante e faticosa. Il fatto che non ceda alla rabbia, ma cerchi di comprendere, dice molto sulla qualità della sua presenza. Ma a volte, proprio quando siamo pazienti, empatici e razionali, rischiamo di non concederci abbastanza spazio per accorgerci di quanto tutto questo ci stia chiedendo.
Mi chiedo se, dietro questo apparente "menefreghismo" di sua figlia, non si stia muovendo un conflitto più interno, qualcosa che non ha ancora un linguaggio, ma che chiede con forza (proprio attraverso il caos, la distrazione, la distanza) di essere visto. E mi chiedo anche se lei, in questo momento, si senta autorizzata a fermarsi un attimo, a prendersi uno spazio in cui poter esplorare tutto questo senza l'urgenza di dover subito risolvere.
Quando un genitore comincia a sentirsi spettatore impotente, nonostante l'amore e la pazienza, forse è il momento di fermarsi, non per cercare risposte facili, ma per creare uno spazio in cui certe domande possano essere finalmente accolte, comprese, trasformate.
Ci sono percorsi che non iniziano perché qualcuno è “in difficoltà”, ma perché certe domande (come quelle che lei sta già ponendo) meritano tempo, presenza e un luogo dove poter trovare nuove forme.
Spero che queste riflessioni possano esserle utili.
Resto a disposizione, un caro saluto
E.S.
psicologoagenova.wordpress.com