Passare la vita a....

Dafne

Salve,
Sono una ragazza di 29 anni, vivo ancora con i "miei".
Da parecchio tempo, direi diversi mesi, sto soffrendo di... non so nemmeno io cosa, esattamente.
Da qualche anno sono uscita da una grave depressione, con aggiunta di episodi psicotici, derealizzazione e depersonalizzazione con attacchi di panico.
Questa malattia - lo psichiatra l'ha identificata come disturbo bipolare, ma solo negli ultimi anni - è iniziata diversi anni fa, dopo aver concluso con la scuola. Mio padre era morto da 2 anni, per un tumore che l'ha portato via in 6 mesi, quando frequentavo l'ultimo anno di 3° superiore, dopo aver conseguito una qualifica. Altri 2 anni e avrei finito la scuola con un diploma, ma sinceramente, a parte il lutto, non mi è mai piaciuto studiare e farmi imbottire di nozioni, anche se non ho avuto quasi nessun problema: io non studiavo, "leggevo"; non mi piaceva l'idea di ripetere a voce, e comunque sono riuscita ugualmente, per fortuna, direi, almeno questo.
Quando mio papà è venuto a mancare, nonostante avessi visto i miei litigare spesso e volentieri, ho voluto stare vicino a mia mamma. Ognuna di noi due, in realtà, faceva da "guardia" all'altra. Io cercavo di non pensare, di non piangere almeno di fronte a lei. Soppressi le emozioni. "Dovevo" essere forte per lei. La vedevo soffrire troppo.
Il senso di colpa, comunque, era sempre lì.
In passato, avevo iniziato ad odiare mio padre. Davo la colpa a lui, dentro di me, quando vedevo i miei litigare. Ma l'odio è iniziato con un motivo abbastanza strano: una notte - ero adolescente - sentii i miei avere un rapporto. Non so cosa sia scattato in quel momento, ma il disgusto che provai a sentire.... mi fece star male, iniziai a piangere senza farmi sentire, a pregare che smettessero, a mettermi l'iPod a palla nelle orecchie. Così iniziò l'odio.
Nel medesimo periodo, avevo un altro problema - che in quel momento non consideravo come tale e che forse nemmeno capivo. Ero poco più che una ragazzina, eppure avevo problemi con il mio corpo: non mi era mai piaciuto - tutt'ora è così. Quando ero a casa immaginavo di avere un corpo maschile. Non saprei se era dovuto alla recente operazione - per una scoliosi parecchio grave, che mi fece restare in rianimazione per un mese, con alcune complicanze.
Da che mi avevano svegliato, gli effetti della morfina erano abbastanza strani. A volte, specie nei primi periodi durante la notte, mi sembrava di sentire mani ovunque su di me, e mi svegliavo credendo che qualcuno mi stesse effettivamente toccando. Poi non so se sia dovuto a questo.
Come per negare quella fatidica notte dei miei, la mia prima relazione fu con una ragazza. E strano a dirlo adesso, ma a conti fatti, anche se poi la relazione è finita, è stata la migliore finora. Mi sentivo bene in quella vita, anche se i battibecchi non mancavano. Ho lasciato io la ragazza, anche se eravamo rimaste in amicizia, a seguito della morte di mio padre - che in passato aveva detto una cosa del tipo "Se mio figlio fosse gay, non ci parlerei più/non lo riconoscerei più". La ragazza con cui stavo aveva dei comportamenti un po' infantili, a volte, nonostante avesse 18 anni. Quando mio padre morì, l'unica cosa che era stata capace di dire è stata "Mi dispiace". Io, già provata dal lutto e dal senso di colpa generale (per l'odio, ma anche per il fatto di essere lesbica), la lasciai non molto dopo.
Continuai a ricercare relazioni con donne, comunque. Anche se poi, incontrai il mio primo ragazzo, deludendo e in un certo senso "tradendo" la controparte femminile che mi aveva detto apertamente di essere interessata a me. Non decisi sull'emozione, ma sulla logica: sarei andata con il ragazzo, per convenienza, per fare un'altra esperienza. Mia mamma non avrebbe saputo mai nulla, io avrei fatto una vita "normale", "come tutti". Il primo di tanti sbagli a venire. Questa "semplice" decisione bastò a innescare un nuovo senso di colpa verso quella povera ragazza. Un altro tassello alla mia depressione.
Le amicizie d'infanzia sbagliate, il bullismo a scuola. E dopo, l'evento scatenante, fecero il resto.
L'evento è stato leggere un libro. Io e mia mamma abbiamo sempre parlato di religione e spiritualità, in modo non convenzionale. Eravamo una sorta di ricercatrici della verità. Mia mamma non credeva alla Chiesa, così come me. Mio papà non si è mai espresso. Alla fine, quel libro era un testo che parlava di spiritualità, non di religione. Tuttavia, i concetti erano ambigui, almeno per me, tanto che mi si posero delle domande. Iniziai ricerche per conto mio e sfortunatamente, trovai una valanga di teorie filosofiche, metafisiche, quantistiche e chi più ne ha più ne metta, anche se moltissime erano strampalate e allora non capivo nulla in materia. Il risultato fu una gran confusione mentale. Pochi giorni dopo, con un ansia sempre più costante (non saprei spiegare i motivi), ci fu il primo episodio. E' stato devastante, come se un castello di carte si rompesse all'improvviso, ma lentamente.
Altri giri in ospedali, psichiatri e centri psico-sociali (questi ultimi spesso hanno solo aggravato la situazione). Poi, fortunatamente, ho trovato uno psichiatra che mi ascoltava, che mi seguiva ed era molto disponibile. E pian piano ne uscii, ma ci vollero anni.
Le conseguenze non furono belle. Senza lavoro né un diploma che valesse effettivamente qualcosa, la difficoltà stessa di trovare un impiego. Problemi che permangono ancora adesso. Ho fatto qualche lavoro, prima del problema psichiatrico e dopo. Ma dopo fu più difficile. Nonostante fu un impiego simile a quello già svolto, le mie risorse erano più limitate. E nonostante sia nelle categorie protette per invalidità civile, non ho avuto il sostegno necessario previsto. Ho dovuto mettermi in malattia, in una sorta di disturbo post-traumatico da stress, e ho lasciato. Passando altri anni senza lavoro.

Da un bel po' di tempo a questa parte, ho smesso quasi del tutto (volontariamente) di prendere medicinali contro la depressione e la psicosi, in quanto non ci sono più stati altri episodi. Ho voluto smettere, per far passare le "controindicazioni": stanchezza cronica, debolezza ecc. All'inizio sembrava che stessi meglio.
Purtroppo, le cose sono andate via via peggiorando, anche a causa del Coronavirus. Messo da parte il fatto che ho delle opinioni impopolari in merito, la quarantena forzata e - soprattutto - l'incessante bombardamento delle notizie in merito alla tv, non hanno giovato alla situazione. Non ho provato la "paura" che tutti hanno provato/provano.
Ma tornando indietro...
E' iniziato a novembre 2019. Ho lasciato il mio ragazzo in seguito a diverse circostanze, tra cui (non meno importante, anzi...) il suo problema psichiatrico (DOC). Ne sono venuta a conoscenza solo 2-3 mesi dopo esserci messi insieme. All'inizio, cercavo di aiutarlo come potevo e come pensavo fosse giusto: spronandolo, consigliandogli perfino i miei dottori. Peccato che lui abbia iniziato ad andarci solo verso la fine della nostra relazione... Alcune volte restavo a casa sua a dormire, come fossimo una coppia indipendente: preparavo da mangiare ecc. I suoi durante la primavera-estate erano via.
A un certo punto, quando ho saputo del suo problema, ero abbastanza disperata. Diceva che si poneva queste domande, se mi amava davvero o no. Già di mio, sono una persona insicura di me...
Ma comunque, sono andata avanti, provando ad aiutarlo, standogli vicino. Potevo capire cosa voleva dire avere un problema del genere, anche se era diverso da quello che avevo avuto io.
Ma a conti fatti, mi rendevo sempre più conto che lui non faceva nulla per provare a migliorare la sua salute, come se gli andasse bene così. Come tutti gli altri ragazzi che ho avuto, anche lui faceva affidamento esclusivamente sui genitori, che lo "difendevano" dal mondo esterno, e contemporaneamente non volevano "spendere troppo" per fargli avere delle cure adeguate. Però, lui non sembrava nemmeno interessato a stare meglio. Quello che dicevano i suoi, lui lo faceva. E' sempre stato così, per me, ma con chiunque ho avuto una relazione.
Alla fine, si alternavano momenti di relativa tranquillità e altri di liti. Siamo andati in vacanza insieme, e non è stata una bella vacanza: abbiamo persino litigato con i miei. Ero furibonda, non solo con i miei, ma anche con lui.
Quando poi è arrivato il momento di smettere di "giocare" a marito e moglie, la relazione è precipitata. A un certo punto, non ce la facevo più. La mia insicurezza era troppa, per continuare una relazione del genere. Non accettavo più questi suoi "dubbi". Anche sapendo che aveva il DOC. Da una parte non volevo mollare, quasi sentendomi in colpa, se l'avessi lasciato. Dall'altra, volevo solo smettere di sentirmi insicura, non amata, triste. Questo "sbilanciamento", mi ha portato a dei simil-attacchi di panico, anche se sembravano quasi epilettici. Lo psichiatra mi diede dei calmanti. Alla fine, presi la forza e lo lasciai, per non vederlo né sentirlo più. Ovviamente, come gli altri, disse che "sicuramente avevo qualcun altro"...
Era novembre. Provavo ad andare avanti, mi sentivo delusa e sconfortata. Provavo a non piangere, ma non riuscivo. Mia mamma mi rimproverava di “fare la vittima” piangendo e mi gridava di non piangermi addosso, nonostante aveva visto i miei simili-attacchi di panico durante e dopo la rottura. “Vuoi piangerti addosso per tutta la vita?!”, mi gridava, e cose simili. Il suo compagno (che vive con noi da qualche anno) a volte le diceva di smetterla. Anche se lei non lo faceva. A volte sembrava che arrivasse a quel discorso di proposito. Quindi, provai a reprimere il dolore e le lacrime, piangevo quando non potevano vedermi o sentirmi.
Non poter sfogarsi è brutto. I miei (mia mamma e mio papà) sono sempre stati così, del “devi essere forte”. A parte mia mamma, che è solita dire: "Se hai qualche problema, parlane, si sta male a tenersi le cose dentro". Però poi, quando lo faccio, non manca di dire frasi come quella sopra...
Anche quando ero in rianimazione per l'operazione alla schiena, mio padre una volta mi disse (anche se lui stesso aveva le lacrime agli occhi): “Sii forte.” Certo, perché è semplice stare su un letto d'ospedale, con dolori dappertutto e respirare a mala pena e nel frattempo essere forti... Quella volta piansi lo stesso, anche se mio papà a volte non era così rigido come mia mamma. “Perché devo essere forte?”, pensai. “Sto male.”
.... Ma, tornando al mio ex, iniziai a pensare solo ai momenti brutti, arrivando a provare odio per lui. Dopo un po', stavo leggermente meglio. Ci sono stati altri momenti di litigi tra me e mia mamma, per altre cose o per le stesse.
La rabbia cresceva. Ma il peggio è iniziato ad arrivare con la questione del virus.
Il compagno di mia mamma è sempre stato uno a cui piace guardare la tv - per usare un eufemismo, dal momento che ogni volta che era/è a casa, ogni occasione è buona. Spesso mia mamma litigava con lui per questo, dicendo che non le dava attenzione nemmeno quando era a casa dal lavoro, che se non era la tv, c'erano altre cose... Niente di nuovo, per me, avevo già sentito e visto la situazione, simile a quando c'era mio papà.
Il compagno di mia mamma iniziò a prendere il monopolio sulla tv (della cucina, dove mangiamo tutti insieme), forzandoci a guardare il telegiornale (anzi, i telegiornali). Anche se questo accadeva già, anche prima di questo problema.
A volte mi arrabbiavo io, a volte mia mamma, a volte tutti. Io so solo che non ne potevo più di essere bombardata, pranzo e cena, da queste notizie. Le mie uniche paure reali, erano (e sono), il non poter avere un lavoro, una casa, una vita mia. Mia mamma mi "confortava" dicendo che sarebbe passato, di non pensarci, di non essere pessimista... Alla fine, lei ha concordato con me, quando lui era al lavoro, noi guardavamo altro in tv, anziché il tg. Poi, non so perché, la situazione si è ribaltata, e poi si è ribaltata di nuovo. Insomma, mi sembrava che mia mamma faceva le cose in base a lui, "perché lavora", "perché ci mantiene"...
Senza il fatto che se esponevo le mie preoccupazioni, la risposta era sempre la stessa, o in alternativa: "Se continui a pensarla così, non cambierà nulla veramente."
Quando l'ho conosciuto, sembrava una persona tranquilla e gentile. Per questo, io gli avevo chiesto di vivere con me e mia mamma. O forse perché in quel momento ero debole per ragionare con chiarezza: ero ancora in cura, dopotutto.
Fatto sta, che poi col tempo si è rivelato un uomo fin troppo scherzoso - non ho mai potuto farci un discorso serio, a parte forse i primi momenti - gentile, insomma, fino a un certo punto; poi ha cominciato ad "ambientarsi", in casa era ed è un casinaro, nel vero senso della parola. Disordine a parte, quando arriva o quando c'è, non ci si può confondere che sia lui. Fa troppo rumore spostando le cose, le porte che spesso sbattono, i passi pesanti. E si è rivelato un altro "urlatore" (come mia mamma), ovvero, anche solo per dire una semplice frase, alza il tono o sembra inca****. Da notare che mamma ci litigava spesso per queste cose, queste stesse cose per cui ce l'ho con lui, che però adesso mia madre sembra non vedere né sentire.
Abbiamo litigato nel corso degli anni, alternando altri momenti più tranquilli. Forse volevo farmelo andar bene, finora. Ma adesso è diventato un peso insopportabile, un macigno.
Quando eravamo solamente io e mia mamma, per la maggior parte del tempo andavamo d'accordo. Da quando viviamo tutti e tre insieme, non è più come prima. Le uniche volte che sono andata davvero d'accordo con mia mamma, sono state quando eravamo solo noi due. Sembra un'altra persona quando c'è qualcun altro.
Sono stanca di vivere con loro, e tuttavia per il momento non posso fare altrimenti.
All'inizio, a novembre, ero solo molto triste e delusa dall'ennesimo fallimento nelle relazioni. Poi è arrivato il virus e con esso altre cose minori, che comunque aggiungevano tasselli di rabbia e frustrazione. Iniziai a perdere lentamente la fiducia, nel mondo, nelle persone, nei miei genitori, in tutti. Un senso di ribellione verso tutto, ovviamente o frainteso o non compreso.
E ora sono qui. Ho perso tutto quello che potevo perdere. Ho talmente tanta rabbia e frustrazione, un senso amplificato di ingiustizia, di odio verso le persone. Io lo chiamo "il demone della rabbia", perché tale mi sembra. Non credo più a nessuno. Non parlo e non mi vedo più con nessuno. Evito di uscire più spesso che posso. Anche perché, mettendo la mascherina, mi sento soffocare, sto male. Ho già un problema al naso, irrisolto da molto tempo, credo sinusite o setto nasale deviato. E in tutto questo tempo - già dall'anno scorso - ho altri problemi fisici: mal di gola strano che va e viene (come se qualcuno mi stesse strangolando o se avessi un pugnale in gola), stanchezza rimasta, mal di testa frequente, rigidità muscolare (anche questo, da che ricordo, ce l'ho sempra avuta), ho un calcolo biliare che a volte mi infastidisce, ho alcuni denti da far controllare e "sistemare", spesso ho un senso di nausea; a volte non ho per nulla fame e a volte invece ne ho troppa (uguale per il sonno).

Mi trovo qui, senza possibilità di un aiuto vero. Ho prenotato una visita dal mio psichiatra, che "grazie" al virus è slittata al 3 luglio. Quindi, per tutto questo tempo, ho vissuto in un inferno, coltivando rabbia, tristezza e frustrazione.
Non voglio pensare alle persone che stanno male, fisicamente, psicologicamente o che hanno problemi psichici come ho avuto io... non voglio pensare al loro inferno, ma lo immagino fin troppo bene e mi sale l'afflizione per loro, perché so come ci si sente; e mi sale la rabbia, perché tante persone come me o non come me, avrebbero bisogno di uguale aiuto, se non di più, ma non lo possono avere. Che razza di mondo è...?

Potrei sbagliarmi, come no, ma molta gente soffre per questo problema che è stato ingigantito e, a mio avviso, propagandato.
Ad ogni modo, non sono qui per esporre le mie idee. Quanto per chiedere un aiuto, o un consiglio.
Perché io davvero non ce la faccio. Non so cosa fare, non so cosa iniziare, se dovrei iniziare. So solo che se fossi riuscita ad andare prima dallo psichiatra, la mia situazione forse sarebbe, anche solo leggermente, migliore.
So solo che provo l'impulso di andarmene di casa senza nemmeno dire addio. So solo che se provo a parlare, alla fine mi si aggredisce (a parole) o si finisce per litigare.
"Perché non parli?" mi chiedeva mia mamma
"Per forza... non si può parlare" "Non più". Lo penso continuamente. Ecco perché evito di parlare con chiunque. Specialmente con loro. Evito di mangiare insieme a loro, evito di vederli, di incontrarli in casa. Evito qualsiasi cosa che coinvolga loro o altre persone. Tutto quello che so, è che le persone ti deludono, ti feriscono, ti tradiscono o non ti ascoltano veramente.
Mia madre ora sa che ero lesbica. Spesso brontolavo che "sarebbe meglio essere uomo". All'inizio scherzavamo su quest'ultima cosa.
Mi diceva che non mi confidavo con lei. Io le rispondevo che era perché la vedevo così, rigida su molte cose. Diceva che non era più così. E adesso cosa fa? Usa le mie confidenze contro di me, come se mi prendesse in giro. Dicendo che non sa cosa pensare di me. Poi dicendo che non ha pregiudizi.
Beh, nemmeno io so cosa pensare di lei. Dice che il suo compagno se ne va, se io continuo così. Non so quante volte l'ha ripetuto, A un certo punto, le ho risposto: "Pace." Ed è così da tempo. Tra i suoi "Se continui così, te ne vai a vivere da qualche altra parte", dicendo che mi affitta un altro appartamento ecc. anche se non ho un lavoro, ma va beh...
Magari potessi andarmene, l'avrei già fatto...

Penso che "devo" dire "grazie" a lei, se nemmeno io ci capisco di me stessa. Lei non capisce me e io non capisco lei.
Ho il problema della rabbia, che è diventata ira. Ed evito i miei anche per questo, non voglio dire cose spiacevoli (anche se mia mamma non si pone il problema, a quanto vedo), o avere scatti d'ira seri.
Ho i problemi fisici.
E ho il problema di riconoscere me stessa... Perché le persone devono essere etichettate in base ai loro gusti? Perché non provano a comprendere, ad avere una visione più ampia? Tutto ciò che non è etichettato risulta incomprensibile, e non è degno della comprensione o quantomeno dell'accettazione.

Io non so cos'ho che non va, qual è il mio problema. So solo che non sto bene e i miei sembrano amplificare di proposito il mio malessere, forzandomi ad andar d'accordo con loro ad ogni costo. Loro non vengono a compromessi, perché io, sempre, devo venire a un compromesso? No.
Pensavo che evitare di parlare e mangiare più tardi fosse già un compromesso: evito liti inutili, per entrambe le parti.
Invece no, non va mai bene. Ma qualcuno vedrà mai il mio punto di vista? Qualcuno capirà che una persona è come è? Che non aiuta dirle "smettila di compiangerti", anche se sta male?
Io pensavo che sfogandomi sarei stata meglio, come diceva mia madre. Invece no, non è più così. Adesso sfogarsi è diventato il sinonimo di compiangersi.

Ci sarebbero altri dettagli, ma diventerebbe un testo troppo lungo.
Per favore, se qualcuno leggerà, mi aiuti a capire, o almeno mi dia qualche consiglio.

Grazie.

3 risposte degli esperti per questa domanda

Dafne, ha condiviso tanto e ha scritto un testo molto arricchito, ma le consiglio caldamente di trovare un psicologo dalle sue parti. Iniziare un percorso sarà la miglior cura che lei si potrà mai regalare.

Un cordiale saluto. 

Cara Dafne

La sua sofferenza parte da molto tempo fa. Ha scritto una lettera fitta di situazioni ed emozioni che ha provato, e prova tutt'ora molto importanti. Le posso dire che ha fatto bene a ricontattare il suo psichiatra, per farsi aiutare. Esprime malesseri fisici e psichici importanti, che non devono essere sottovalutati ma considerati e affrontati attraverso dei percorsi personali mirati. Il supporto dello psichiatra è necessario, così come il supporto di uno psicoterapeuta, con il quale potrebbe affrontare tutto ciò che ha esposto in questa sede e approfondirne il significato. È giovane e ha diritto ad avere una vita dignitosa. Rifletta seriamente sulla possibilità di essere aiutata e sostenuta. Da sola rischia di non poter risolvere tutta la sofferenza che descrive. 

Auguro con tutto il cuore buona fortuna

Dott.ssa Elisa Danza 

Salve Dafne, ho letto con particolare attenzione la sua storia, è ricchissima di eventi ma è riuscita a descriverli con grande lucidità. Scrive che non riesce più a gestire la sua rabbia, che si è trasformata in ira e questo, come posso immaginare, la mette ulteriormente in difficoltà. Inoltre la mancanza di suo padre, giustamente, ha particolarmente complicato la situazione generale.

La rabbia, la frustrazione e la tristezza possono essere trasformate in qualcosa di positivo, ma la invito a fare un percorso di terapia, vedrà che riuscirà a trovare le risposte che cerca.

Buona giornata.  

Dott. Valeriano Fiori

Dott. Valeriano Fiori

Roma

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