È piuttosto noto che l’empatia è la capacità di “mettersi nei panni dell’altro”. Cosa significa? Sinteticamente, la persona empatica è quella in grado di mettersi sulla stessa lunghezza d’onda di chi gli sta di fronte, di percepirne i pensieri e le emozioni, di identificarsi in lui e quindi di cogliere parte della sua vita psichica. Questa predisposizione mentale consente non solo di “capire” razionalmente l’altro, ma anche di “sentirlo” emotivamente. La comunicazione empatica è basata su questa abilità, che permette di capire davvero l’altro, anche al di là del linguaggio verbale.
Riusciamo a capire meglio questo meccanismo fondamentale se pensiamo al rapporto madre-bambino piccolo. Il neonato e l’infante non sono in grado di parlare e spiegarsi, di chiedere e sarebbero potenzialmente in grave pericolo di sopravvivenza se l’adulto che li accudisce non fosse in grado di interpretare i loro bisogni e rispondervi adeguatamente. La vicinanza empatica della madre le consente di cogliere tutte le richieste del bimbo, siano queste legate alla dimensione fisiologica (fame, sonno, ecc.), che a quella psichica (rabbia, malessere, coccole).
Si tratta di una risonanza interna delle emozioni dell’altro, come se in quei momenti ci fosse una parziale e temporanea sospensione della propria identità per permettere a quella dell’altro di entrare e trovare una connessione con il proprio sé. È come se si costruisse e si sperimentasse una familiarità, visto che siamo tutti esseri umani, non così diversi gli uni dagli altri in quanto ad emozioni di base. La diversità sta più nella diversa capacità empatica, non ugualmente distribuita. “Dottoressa, io non sono empatico, non riesco a capire cosa prova mia moglie. Me lo deve dire chiaramente perché da solo non riesco”. Quindi ci sono persone che spontaneamente sanno mettere in atto un ascolto, potremmo dire, completo ed altre che risultano poco capaci, spesso loro malgrado.
Potremmo definirla quasi una facoltà extrasensoriale. Qui ci vengono in aiuto le neuroscienze, che hanno scoperto una base fisiologica, uno strumento a livello cerebrale responsabile di questa nostra importantissima risorsa, forse la più importante per quanto riguarda la nostra stessa sopravvivenza come specie umana. Sto parlando dei famosi “neuroni specchio”, scoperti da una équipe di neuroscienziati dell’Università degli Studi di Parma negli anni ’90 durante studi sperimentali sul cervello dei nostri cugini macachi. Questi neuroni si attivano non solo quando il soggetto fa dei movimenti intenzionali per un fine preciso, ma anche quando osserva la stessa azione compiuta da un altro, e addirittura quando l’altro ha intenzione di farla. Quindi da loro dipende la nostra capacità di riconoscere, imitare e perfino leggere le intenzioni di chi stiamo osservando.
Tutto questo suggerisce quanto già a livello fisiologico siamo dotati e predisposti per la comunicazione, per la socialità, la cooperazione e la condivisione. Non dimenticando comunque che la parte neurologica non esaurisce certo la spiegazione di un fenomeno umano così importante e profondo come l’empatia.
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