Buongiorno,
mi colpisce molto la sua storia, e la ringrazio per averla condivisa con tanta sincerità. Quello che ha vissuto è un terremoto emotivo profondo, e il fatto che oggi riesca a parlarne, anche se con dolore, significa che dentro di lei c’è ancora una parte viva, che cerca un senso e non vuole lasciarsi schiacciare da ciò che è accaduto.Lei ha attraversato, nello stesso momento, due esperienze durissime: la malattia dei suoi genitori e il tradimento della persona che amava e con cui aveva condiviso gran parte della vita. Non è solo una perdita affettiva o economica ,è una frattura nell’anima, perché quando qualcuno che consideravamo “la nostra casa” ci abbandona proprio nel momento in cui abbiamo più bisogno, si crea un vuoto che toglie respiro.
È normale che oggi si senta smarrito, arrabbiato, incredulo. Dopo una storia lunga più di trent’anni, ci si ritrova a dover ripensare tutto da zero, in un’età in cui si sperava di poter finalmente raccogliere un po’ di serenità. E invece si ritrova a gestire la solitudine, le paure e la fatica di prendersi cura dei suoi genitori malati. È tanto, davvero tanto, per una sola persona.
Vorrei dirle una cosa che forse non si sente dire spesso: non deve avere fretta di “ricostruirsi”. Adesso il dolore che sente è legittimo, e non va scacciato. È una ferita profonda, e come tutte le ferite serie, ha bisogno di tempo per rimarginarsi. Ciò che può fare adesso è concedersi il diritto di essere triste, di essere arrabbiato, di sentire la mancanza, senza giudicarsi per questo.
Il tradimento non è solo la rottura di un patto, è anche la perdita di fiducia nell’altro e, a volte, in se stessi. Ci si chiede: “Come ho fatto a non vedere?”, “Perché proprio quando avevo bisogno di lei?”. Sono domande naturali, ma non troveranno mai una risposta completamente soddisfacente. Non perché lei non meriti chiarezza, ma perché certe scelte parlano più di chi le compie che di chi le subisce. Lei, invece, ha fatto qualcosa di profondamente umano e nobile: ha messo da parte se stesso per prendersi cura dei suoi genitori. Questo dice molto di chi è come persona. Forse ora non lo vede, ma quella scelta, pur avendole fatto perdere tanto, è una delle cose più dignitose e pulite che si possano fare nella vita.
Capisco anche la paura di non riuscire più a fidarsi, o di non trovare più qualcuno che la tratti con rispetto e amore sincero. È una paura reale, e non va negata. Ma non è una condanna. La fiducia non torna tutta insieme, si ricostruisce lentamente, prima di tutto verso se stessi. E per farlo, serve tempo, ascolto e gentilezza verso la propria storia. Forse adesso il suo compito non è cercare di “rifarsi una vita”, ma imparare a stare nella sua, con nuove basi. Piccoli gesti quotidiani, persone che la fanno stare bene, attività che la aiutano a respirare. Un passo alla volta, senza pretese.
E quando sentirà che il dolore non le toglie più fiato, ma diventa memoria, allora potrà aprirsi di nuovo,non per cancellare il passato, ma per permettersi un futuro diverso.
Ha dimostrato di avere un coraggio enorme. Non lo dimentichi: chi resta accanto ai propri genitori nel momento più fragile e contemporaneamente sopravvive a una perdita così grande, non è una persona finita. È una persona che ha resistito.
Un caro saluto