Gentile Signora,
provo a mettere un po' d'ordine fra le tante informazioni che ci ha dato:
-innanzitutto il bambino è un "anticipatario", cioè è andato a scuola prima di quanto previsto dal suo anno di nascita: sarebbe interessante sapere come mai è stata presa, a suo tempo, questa decisione, se su suggerimento delle insegnanti della materna, per interessi specifici dimostrati dal bambino o per altri motivi, E' piuttosto frequente -anche se ovviamente non scontato- che un bambino che va a scuola in anticipo sperimenti qualche difficoltà, non tanto sul piano didattico quanto sul piano emotivo o più generale (lei stessa dice che è "il più immaturo della classe"). E' possibile che non sia ancora riuscito a sviluppare quella "maturità" che gli farebbe vivere la scuola con maggiore consapevolezza e serenità.
-in secondo luogo lei afferma che "per ottenere questi risultati gli sono dovuta stare dietro tutti i pomeriggi ecc..": dal suo scritto sembra che lei si sia dovuta sostituire all'insegnante, riproponendo i singoli insegnamenti quasi quotidianamente e seguendolo passo passo nei compiti, cosa che continua ancora oggi. E' possibile che il bambino si sia abituato a farsi condurre da lei nei compiti e nelle spiegazioni, non sperimentando un'autonomia basata anche sulla possibilità di sbagliare e di farsi correggere dalle insegnanti. Le insegnanti sono a conoscenza di questa vostra consuetudine? Questa impossibilità di fare da solo induce insicurezza, perché il bambino finisce col pensare che senza qualcuno che lo segue come un'ombra non potrà fare nulla.
-riguardo ai componimenti personali: raccontare o inventare storie è uno dei compiti più difficili da affrontare, perché richiede una certa capacità di autoriflessione, la consapevolezza dei propri pensieri e l'abilità di metterli "nero su bianco" con una coerenza logica; richiede anche una certa serenità interiore, una certa sicurezza ed autonomia. Non è una cosa che si impara dall'oggi al domani, ed è comune che i bambini non sappiano rispondere nemmeno a voce a domande generiche, appena usciti da scuola: il classico "cosa hai fatto oggi?" sortisce quasi sempre una risposta come quella che le dà suo figlio. Per imparare a raccontare e raccontarsi occorre esercitarsi a poco a poco su domande specifiche e che comprendano anche aspetti emotivi (ad esempio: non "Com'è andata la festa di Luca?" ma: "deve essere stata divertente la festa di Luca, qual è stato il gioco che ti è piaciuto di più"); occorre essere accompagnati alla lettura e alla comprensione di brani scritti, di complessità crescente (di solito è un grosso lavoro che si fa a scuola, nelle ore di italiano); occorre leggere libri in autonomia o anche farseli leggere dall'adulto per aumentare le competenze linguistiche, arricchire il lessico ecc..
-infine lei parla del calcetto come di uno sport "che non fa per lui" e del mister che "lo sprona ad essere più sicuro di sè, ma invano". Perché scegliere uno sport che non sembra adatto a lui? Che significa essere "spronato ad essere sicuro di sé?". Lui che sport vorrebbe fare? Avete provato a chiederglielo?
Ho l'impressione che suo figlio abbia bisogno di imparare ad appropriarsi un po' di più di se stesso, dei propri gusti e delle proprie passioni. A mio parere dovreste (voi genitori) cercare un confronto con le insegnanti per iniziare a sganciare il bambino dal suo aiuto quotidiano nei compiti, cercando insieme strategie per sviluppare le sua autonomie in diversi campi (Scrivere compiti e materiali sul diario, svolgere il lavoro a casa, avere piccole mansioni in classe ecc). Anche a casa si potrebbe provare a dargli alcune semplici mansioni e vedere come va.
Non è facile dare indicazioni più precise per iscritto, sicuramente vi giovereste anche di un sostegno alla genitorialità (quindi senza coinvolgere il bambino), ma spero di averle dato qualche utile spunto di riflessione.