Terapia/Cattivo Paziente

Sísifo Bellerofonte

Buonasera,

vi scrivo per avere un confronto professionale sulla terapia e relazione terapeutica. Inerente ad una difficoltà che come paziente riscontro in seduta. Probabilmente sono un cattivo paziente potrebbe essere. Sicuramente sono curioso e tenace. Finche non ho compreso il motivo, non demordo e continuo a cercare di capire. Come e cosa cambiare del sottoscritto.

Sono in seduta per cambiare per divenire consapevole. Ma per farlo devo capire il motivo devo razionalizzare qualcosa che mi fa stare male (parlare) e dare un significato (sul perché lo scrivere non va bene). Senza comprendere è impensabile per come sono fatto, darsi una meta un obbiettivo da aggiungere. Stare in seduta e parlare.
Non è oggetto di discussione il professionista. Trovo difficoltà nel modo scelto per perseguire la terapia: il parlare in seduta in presenza. Mi va molto stretto. Tuttavia riconosco ad ognuno la sua professione. Motivo per cui sono qui con voi. Voglio cambiare ma per farlo devo capire.

Probabilmente la difficoltà dipende da un mio limite personale. Non mi sento a mio agio a parlare in generale a maggior ragione in seduta. Prediligo lo scrivere come forma di comunicazione efficace. Non lo metto in dubbio di essere un cattivo paziente una seccatura una spina nel fianco nella relazione terapeutica. Ma sono qui per pendere consapevolezza dove sbaglio e collaborare in maniera più efficace con il mio terapeuta.
Ho provato a esprimere i dubbi ma il risultato è stato peggiorativo. Da li ho capito che in terapia i dubbi me li tengo per me.

So di essere tenace cocciuto, testardo, de coccio. Alle volte credo che il professionista mi vorrebbe dire.: Ascolta non ti sei ancora stancato di chiedere .....
Il professionista con cui collaboro è capace, disponibile a modo suo e come vuole lui e dove vuole lui, Lo rispetto perché ne io ne lui molliamo di un cm. Tuttavia è fermo sulle sue idee. Mi ripete "La terapia non si fa via mail ma solo vis to vis". Ok questa è la regola mi adeguo. Fra me e me mi dico : "ma che due palle... ".

Vorrei capire perché mi mette sempre in un angolo del ring sapendo che questo comporta frustrazione e paura e timore. Mi mette in difficoltà volontariamente. E' come patire sapendo di avere una ruota bucata.
Non capisco il motivo del suo operato. Dico comunicare è comunicare, Se come paziente dico chiaramente che a parlare vis to vis sono incapace imbranato, in difficoltà ci sto male. Perché il professionista insiste nel voler seguire un percorso sapendo già che metti in difficoltà il paziente? A che pro? Sei consapevole che fai star male una persona.

Vorrei con il vostro contributo capire da una prospettiva diversa dalla mia dove sbaglio approccio. Il perché lo scrivere usare la mail come strumento per fornire supporto psicologico non va bene?

Vi auguro buona serata e ringrazio coloro che risponderanno.

3 risposte degli esperti per questa domanda

Buonasera 

Ho l'impressione che lei abbia già esplicitato, in questa sede, altri dubbi sul suo percorso terapeutico. La psicoterapia "classica" prevede la "relazione", il rapporto "vis to vis", ma possono essere utilizzati strumenti e modalità differenti. Non so se il suo terapeuta potrebbe essere d'accordo con ciò che sto per dirle, ma si potrebbe provare a leggere insieme ciò che lei comunica via mail o scrive quando non è in seduta. Con alcuni miei pazienti utilizziamo questa modalità: se desiderano scrivono e poi in seduta "vis to vis" riprendiamo ciò che hanno impresso su un "foglio". Inoltre credo che, ma è una mia supposizione, la sua difficoltà di sedute di fronte al suo terapeuta, esprimono una "difesa" nei confronti della terapia, difesa che piano piano deve essere compresa (ma solo attraverso la relazione terapeutica). Rifletta sulle mie parole e provi a comprendere per quali ragioni, pur volendo una terapia, ne scappa e si rifugia in una comunicazione che "mette distanza". Utilizzi ciò che scrive in seduta, sfrutti questa sua comunicazione ma insieme al suo terapeuta, ne trarrà molti vantaggi. 

Auguro buona fortuna

Buon giorno.

Ha già scritto settimana scorsa, presentando le cose in modo diverso.

In questa lettera si esprime in modo più esplicito. Quindi il problema non è un terapeuta "vecchio stile", il problema è che lei ha difficoltà con la relazione ravvicinata con un'altra persona.

Vada in terapia con le cose scritte, le legga e lasci che il (la?) terapeuta possa farle delle domande. A cui potrà rispondere subito; oppure potrà scriversele e rispondere la volta dopo.

Può essere una via di mezzo soddisfacente, per qualche mese?

Saluti.

Buongiorno,

ho trovato la sua domanda molto interessante. Ogni paziente rappresenta per un terapeuta un mondo a sè, oserei dire una sfida, per le questioni che solleva, mai scontate. A me non è mai capitato ma ho sentito di colleghi che portano avanti percorsi via email, onestamente non è frequente e certamente suscita non poche perplessità. Dalle sue parole emerge la grande difficoltà a confrontarsi a viso aperto, eppure il suo percorso sta proseguendo in presenza e forse il focus è proprio questo: comprendere che cosa accade quando le tocca di mettersi faccia a faccia, qual è la sua difficoltà. Le suggerisco di non stancarsi di discuterne con il suo terapeuta, che lei sembra apprezzare e soprattutto, mi sembra pericoloso farne una questione di puntiglio. Magari è possibile un compromesso, ad esempio arrivare in seduta con delle pagine scritte da cui partire per il dialogo...

Buon lavoro!

Dott.ssa Franca Vocaturi