Ansia nel canto

Chiara

Studio e pratico attivamente il canto con grande passione da alcuni anni e desidero continuare a farlo, tuttavia sono vittima di un perfezionismo che si sta trasformando in ansia. Non si tratta di un'ansia da "ciò che la gente pensa". L'ansia che provo quando devo cantare davanti agli altri è qualcosa di più misterioso... è l'incapacità di ricreare davanti agli altri ciò che sento di aver raggiunto nella pratica da sola senza nessuno intorno. L'ansia che provo si manifesta come una stretta nella zona addominale, come se avessi un nodo perenne, e nel canto diventa rigidità fisica sia generale che dell'apparato fonatorio, respirazione alta, la mia mente letteralmente si annebbia (NON SO PIU' COSA DEVO FARE, PERDO OGNI TIPO DI LUCIDITA') e non riesco a cantare come SO che posso e che so fare. Questo accade specialmente nei brani o nei passaggi che io ho battezzato come "difficili": da sola mi riescono, per quanto magari con le umane imperfezioni, mentre in ambienti "non safe" non è solo questione di imperfezioni, è proprio che mi escono voci strozzate, nebbia mentale (panico?), incapacità di eseguirli. Quindi tendo a rimanere nella mia "comfort zone", non riesco mai ad osare qualcosa in più, nemmeno alle prove con altri musicisti. Anzi, paradossalmente quando faccio un concerto sono molto più rilassata (anche perchè evito di eseguire qualsiasi cosa che esca dalla mia comfort zone). Questa esperienza ripetuta ha instillato in me una lacerazione tra il forte desiderio di cantare in libertà e la paura... e questo ambiente mentale ha portato a un comportamento che ha reso tutto questo autosufficiente: sforzarsi troppo, ipercontrollo (vocalmente parlando) che non sta facendo altro che irrigidirmi ulteriormente causandomi non poca frustrazione, la quale a sua volta alimenta il circolo vizioso. Non so come uscirne.

8 risposte degli esperti per questa domanda

Cara Chiara, 

leggendo le tue parole colgo dolore, frustrazione e paura. Mi dispiace tanto. La tua ansia probabilmente è un messaggio per te, ha un significato più profondo di ciò che può sembrare in superficie. Non è il controllo la strategia che può risolvere il suo ingombro. Credo sarebbe un'occcasione importante quella di iniziare a guardare a questo sintomo un po' più da vicino, con l'ascolto del cuore, più che della mente.  Potresti affidarti ad uno psicoterapeuta, scegliendo un collega con cui tu possa sentirti emotivamente al sicuro e che possa accompagnarti in un viaggio curioso e fiducioso in cui sei protagonista. Incontrare la tua ansia e accogliere il suo messaggio, potrà concederti un nuovo passo.

Buon cammino.

Eleonora Russo 

Ciao Chiara, grazie per aver condiviso un'analisi così lucida del tuo vissuto.

​Quello che descrivi è il tipico e doloroso ciclo perfezionismo-ansia da prestazione, un meccanismo in cui l'obiettivo di "non sbagliare" è diventato più importante della gioia di "fare".

​La rigidità fisica (diaframma, respiro) è la diretta somatizzazione di questo conflitto: il tuo sistema nervoso è in allerta, pronto a difendersi dal giudizio (reale o percepito), bloccando il corpo anziché lasciarlo libero di fluire con il canto. La paura di fallire ha trasformato ogni spazio, anche quello sicuro, in un "esame".

Per spezzare questo circolo: Il focus non deve essere la perfezione del risultato, ma la tolleranza all'imperfezione e la ridefinizione del piacere nel processo. Non si tratta di "sforzarsi di cantare bene", ma di "imparare a cantare male" (accettabilmente) senza auto-punirsi.

​Ti incoraggio a valutare un supporto professionale per lavorare sui tuoi schemi cognitivi e sulle tensioni corporee, riportando il tuo grande talento alla sua forma più autentica e libera.

​Un caro saluto.

Ciao Chiara si percepisce quanto sia difficile sentire questa distanza tra il canto libero che vivi da sola e quello che accade quando ci sono altre persone. In quei momenti il tuo corpo ti parla.

Non è una questione di bravura: è una questione di condizioni. L’obiettivo non è spingerti o controllarti di più, ma creare piccoli momenti in cui ti senti abbastanza tranquilla da lasciare che la voce torni a fluire anche davanti agli altri, il lavoro da fare è proprio creare uno spazio senza ansia anche in situazioni come quelle che descrivi. Un passo alla volta, con gentilezza, la libertà che provi da sola può ampliarsi anche altrove.

Grazie della condivisione.

Dott.ssa Maria Camilla Preterossi

Dott.ssa Maria Camilla Preterossi

Parma

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Buongiorno Chiara,

leggendo la tua domanda sono anzitutto colpito dalla tua capacità di introspezione e dalla chiarezza con cui comunichi quello che vedi dentro di te. Questa è sicuramente una grande risorsa, per vincere le tue difficoltà. Ognuno di noi ha delle aspettative su di sè, e si dice come dovrebbe essere. Questo è indispensabile per raggiungere obiettivi di valore, come è il canto, ma può anche generare dei sabotaggi che facciamo a noi stessi. In Analisi Transazionale parliamo di due tipi di messaggi che rivolgiamo a noi stessi: messaggi che ci obbligano ( "devi fare così" o "devi essere così", e messaggi di permesso: "puoi riuscire", "puoi eccellere"). Credo che ti sia utile rivolgere a te stessa questi messaggi di permesso, proprio nel senso del "puoi eccellere". Infatti  proprio nel caso di passaggi canori di alto livello tu ti blocchi, mentre "funzioni" nella tua "confort zone". Puoi sicuramente far leva sulla tua coscienza di saper fare bene: non solo saper fare quando sei da sola, ma anche saper fare di fronte agli altri. Immagina non che stai lottando per la tua perfezione, ma che stai donando a chi ti ascolta qualcosa di grande valore, che sarebbe un peccato se rimanesse solo dentro di te. 

Credo che tu sia in grado di arrivare da sola a  sciogliere questi nodi. Ma se non ci riuscissi, tenendo conto dell'importanza che il canto ha nella tua vita, considera che queste problematiche possono senz'altro essere risolte con l'aiuto di uno psicoterapeuta.

Dott. Fabio Ricardi

Dott. Fabio Ricardi

Milano

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Buongiorno Chiara, quello che racconti dà la sensazione di qualcosa di molto più complesso e sottile di un semplice “blocco”. Rivela un modo di funzionare estremamente coerente con il modo in cui il sistema nervoso si organizza quando percepisce,anche solo in parte che l’ambiente non è completamente sicuro. È come se dentro di te convivessero due stati: nella solitudine della tua pratica, il corpo sembra riconoscere lo spazio come accogliente, permissivo, e allora si apre, respira, lascia uscire la voce con spontaneità.
Ma quando ci sono altre persone, anche senza intenzioni giudicanti, il tuo organismo interpreta la situazione in modo diverso: si orienta verso la protezione, scivola in una modalità più attenta, più contratta, più vigile.E in quella transizione non c’è un tuo errore, né una tua mancanza. C’è una risposta profonda, antica, che precede la volontà e persino il pensiero. La rigidità che senti, il respiro che si alza da solo, la mente che si annebbia… non stanno dicendo “non sei capace”, ma “sto cercando di tenerti al sicuro”. È un automatismo, un riflesso del corpo che prende il comando quando percepisce una vulnerabilità troppo grande.

Il nodo di fondo, da un punto di vista psicologico, non riguarda la tecnica o la voce in sé: è qualcosa che avviene sul piano emotivo e identitario. Sembra esserci una tensione viva tra due parti di te, entrambe profondamente legittime.
C’è una parte che desidera una voce libera, autentica, capace di mostrarsi con tutta la sua intensità e fragilità. È la parte che ama cantare, che sente il canto come un linguaggio interno, come un modo per essere.
E poi ce n’è un’altra che percepisce l’esposizione come rischiosa, che teme che quel mostrarsi possa far male in qualche modo, e che per proteggerti chiude il corpo, irrigidisce, restringe il respiro, ti porta in una sorta di “modalità difensiva”.

Quando queste due parti tirano in direzioni opposte, è naturale che si crei una frattura dolorosa.
In quella frattura nascono frustrazione, ipercontrollo, un senso crescente di insicurezza… come se ogni tentativo di “fare meglio” finisse per aggiungere un nuovo strato di tensione. È un meccanismo che si autoalimenta proprio perché nasce da un bisogno di protezione.

Ed è importante dirlo chiaramente: niente di tutto questo mette in discussione la tua professionalità o il tuo talento.
Questa dinamica, per quanto intensa e faticosa, non parla di inadeguatezza. Al contrario, è sorprendentemente comune tra persone sensibili, creative, o per le quali l’espressione artistica coincide con un aspetto molto intimo del sé.
Quando ciò che esponi non è solo una performance, ma una parte di te, il corpo lo sa. E reagisce di conseguenza.

Quello che stai vivendo è la complessità di una persona che ama profondamente ciò che fa, e che nel mostrarsi sente anche il peso della propria vulnerabilità. Non è una debolezza: è un tratto umano, profondo, che merita cura, ascolto e uno sguardo gentile.

Un caro saluto

Dott. Fabiano Foschini

Dott. Fabiano Foschini

Milano

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Gentile Chiara, capisco cosa intende quando chiede un tono più discorsivo, come se ne stessimo parlando con calma, senza troppi tecnicismi. Provo a risponderle così.

Quello che descrive non è semplice tensione da esibizione, ma qualcosa di più sottile e profondo. È come se da sola, nel suo spazio sicuro, riuscisse a esprimersi liberamente attraverso il canto, mentre davanti agli altri subentra una sorta di blocco che le mette il corpo in allerta e la mente in confusione. Non perché abbia paura di essere giudicata, ma perché sente di non riuscire a essere lì con tutto ciò che sa fare. È come se volesse dimostrare qualcosa invece di viverlo, e proprio quel tentativo di controllo la porta a perderlo.

Il perfezionismo in questi casi non aiuta, anche se nasce da un desiderio genuino di fare bene. Anzi, diventa una gabbia: più cerca di far funzionare tutto alla perfezione, più il corpo si irrigidisce, la respirazione si alza, la voce si restringe e la testa si riempie di nebbia. E allora entrano in gioco frustrazione, autocritica, senso di fallimento… e il circolo si alimenta da solo. Sentirsi incapace proprio quando sa di poter riuscire è estremamente faticoso, e capisco che la porti a restare nella sua zona sicura, evitando ogni tentativo che possa mettere in discussione quell'equilibrio precario.

Ma la sua difficoltà, in fondo, parla di un desiderio molto forte di cantare coniugando tecnica e autenticità. Non vuole solo “farlo bene”, vuole sentirlo, viverlo anche davanti agli altri. E questa è una cosa preziosa, perché significa che il canto per lei non è solo performance: è espressione, è identità. Il passo che può cominciare a fare non è spingersi oltre con forza, ma ridurre la pressione interna, spostare l’attenzione dal controllo al sentire, concedersi margine di imperfezione. Non come rinuncia, ma come spazio vitale.

Può essere utile allenarsi non solo sul piano tecnico, ma anche su quello corporeo e mentale. Lavorare sulla respirazione profonda, muoversi un po’ prima di cantare, fare prove in un contesto semi-sicuro con una persona alla volta, concedersi microesperimenti invece di prestazioni. Piccoli passi che le permettano di “farsi trovare pronta” non per eseguire, ma per esserci. A volte, anche un supporto psicologico specifico per artisti e performer aiuta a tradurre l’ansia in energia creativa e non in barriera.

Lei ha una grande consapevolezza e una reale passione, si sente chiaramente dalle sue parole. L’obiettivo non è eliminare completamente l’ansia, ma imparare a conviverci, farle spazio e poi andare oltre. Non è debolezza quella che prova: è semplicemente la traccia di quanto le importa. E da lì si può ripartire.

Se lo desidera, possiamo lavorare insieme anche su strategie concrete per affrontare passo dopo passo le situazioni “non safe”.

Resto a disposizione, un saluto!

 Gloria Simoni

Gloria Simoni

Pistoia

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Gentile Chiara, capisco profondamente ciò di cui sta parlando. Sono anch’io un’appassionata di canto :-) ho tenuto concerti dal vivo e avevo anch’io, prima di diventare psicologa, una mia band musicale. Il modo migliore per vincere l’ansia che prova è quello di non focalizzarsi sulla performance, ma solo ed esclusivamente sul piacere che il canto suscita nel suo cuore.

Il perfezionismo è sempre figlio del timore del giudizio altrui: un elemento che, come una scimmia dispettosa, ci distrae da noi stessi e da ciò che stiamo facendo impedendoci di goderci (e di esprimere) appieno la nostra originalità. 

Se permette alla sua unicità di scendere in campo, il perfezionismo si dissolvera’ come neve al sole. Non deve essere una "brava" cantante, non deve cantare per soddisfare eventuali (o temute) aspettative altrui. 

Ciò che può renderla davvero felice è la sua originalità, il suo modo di essere e di cantare unico e irripetibile, ed è proprio questo che il pubblico apprezza maggiormente nelle persone: l’originale.

Spero di averle dato degli spunti utili e, se vuole, possiamo approfondire questo argomento (e molti altri) con dei colloqui attraverso la videochiamata WhatsApp o Google Meet.

Un cordiale saluto 

Dott.ssa Vanessa Tribuzi 

Dott.ssa Vanessa Tribuzi

Dott.ssa Vanessa Tribuzi

Perugia

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Buongiorno Chiara mi spiace per il suo disagio e per la sofferenza che sta provando . 

L'ansia da prestazione ci porta spesso ad elevati stati di stress e spesso ci impedisce di vivere con serenità e benessere le nostre passioni e le nostre attitudini . 

Le consiglio di intraprendere un percorso di sostegno psicologico strategico comportamentale che le permetta di trovare le giuste soluzioni per interrompere il circolo vizioso emotivo di cui parla e per rompere i continui pensieri negativi che l accompagnano impedendole di esprimersi al meglio . Esprimere e investigare gli stati emotivi spesso ci permette di abbassare l intensità con cui si sovrastano , ci da la possibilità ci conoscerli e di non temere più certe dinamiche emotive .

Sono a sua disposizione anche per accompagnarla con un percorso online.

Per qualsiasi chiarimento rimango a sua disposizione anche su whatsapp.

Cordiali saluti 

Dott.ssa Tricarico Valentina  

Dott.ssa Valentina Tricarico

Dott.ssa Valentina Tricarico

Genova

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